¡40 ANNI DI STAMPA ALTERNATIVA �¡
Il ciclostile nel cuore
di Massimo De Feo
Marcello Baraghini,e nato 67 anni fa a Civitella di Romagna.
Vive in una casa in campagna a Elmo, nel cuore del territorio etrusco tra Pitigliano, Sorano e Sovana. Accanto al suo casolare ha da poco costruito una Yurta, la tradizionale capanna mongola e ha pubblicato un manuale che spiega come costruirsi questo economico ed ecologico riparo. Nel 1970 ha fondato Stampa Alternativa. Da 8 anni organizza il Festival Internazionale di Letteratura Resistente (quello del 2011 sara dedicato alla letteratura yiddish) che ha ospitato tra l'altro scrittori e poeti come Gary Snyder, Jim Koller, John Giorno, John Sinclair (ex leader delle Pantere Bianche, condannato a 10 anni per 2 spinelli, cui John Lennon dedico un concerto), John Zerzan (teorico dell'anarco-primitivismo).
Recentissimo Il libro mio lo pubblico io (scritto con Ettore Bianciardi).
Con questo manuale - dice Baraghini - ti dico non solo come impaginare il tuo libro, ma anche come venderlo,come scaricare gratuitamente da internet i programmi per impaginare, fare la copertina, la correzione
di bozze, il codice Isbn... metto in grado ogni scrittore di fare a meno dell'editore, e la rivendicazione della
mia inutilita, che poi e il mio sogno, l'utopia, l'autoproduzione.
Strade bianche sono quelle non asfaltate, percorse da esploratori, briganti, guerriglieri... ed e questo
il nome che Marcello Baraghini ha dato alla sua libreria-associazione in via Zuccarelli 25 a Pitigliano,in Maremma.
di bozze, il codice Isbn... metto in grado ogni scrittore di fare a meno dell'editore, e la rivendicazione della
mia inutilita, che poi e il mio sogno, l'utopia, l'autoproduzione.
Strade bianche sono quelle non asfaltate, percorse da esploratori, briganti, guerriglieri... ed e questo
il nome che Marcello Baraghini ha dato alla sua libreria-associazione in via Zuccarelli 25 a Pitigliano,in Maremma.
E una libreria scavata nella roccia, con una scala che porta a diversi livelli sotterranei, grotte e anfratti le cui origini si perdono nella notte degli etruschi. Mentre l'fItalia e ancora sotto chock perchè ha nevicato e si prepara al natale, Marcello Baraghini racconta di sè e dei primi 40 anni della sua creatura, Stampa Alternativa.
Da dove iniziamo?
Partiamo dal 1943, 19 novembre, io nasco in una casa di campagna, povera, contadina, era la casa dei miei
nonni e di mia madre, nel cesenate, al confine con la Toscana. Un'area bianca, conservatrice, clerico-fascista,
dove la famiglia di mia madre, di origine contadina, fece un po' di fortuna fino ad accumulare due o tre poderi. Io nasco in questa casa che era esattamente sulla Linea Gotica, ma lo vengo a sapere solo dopo 60 anni, prima mi fu negata ogni tipo di informazione su quello che era successo in quei mesi. Lo vengo
a sapere da un manoscritto che mi arriva e che pubblico. Come ho spiegato nel diario del comandante Tigre,
che era il comandante partigiano su questa Linea Gotica, quella casa per qualche giorno era in mano ai tedeschi, poi li cacciavano e subentravano i partigiani, fatto sta che il mio primo mese e mezzo di vita, almeno questo me lo dissero, lo passai in una grotta scavata sotto una grande quercia, in pieno inverno, a 7-800 metri di altitudine.
Con tutta la famiglia?
Con mia madre. Mio padre era volontario fascista prima in Grecia e poi in Spagna. Ferito, massacrato, e
rimasto fascista fino al letto di morte. Io interrogo i miei su quel periodo ma tutto quello che vengo a sapere
e che i partigiani erano brutti, cattivi, sporchi e mangiavano i bambini.
Ora 60 anni dopo mi giunge questo manoscritto che ribalta tutto, ne viene fuori un personaggio da film,
alla Fitzcarraldo, il comandante Tigre: i suoi genitori - una famiglia contadina povera del cesenate - si
trasferiscono per poverta in Amazzonia, e lui nasce la. Giovanissimo torna in Italia a fare l'Ardito del Popolo,
ritorna in Amazonia, gira per il Sudamerica, fino a che torna e diventa commissario politico della
Brigata Garibaldi. Opera esattamente in quella casa e nei dintorni, e descrive quello che succedeva in una
sorta di diario giorno per giorno.E' uno dei libri sfortunati, ha venduto poche decine di copie. L'ho pubblicato
tre o quattro anni fa, quando già cominciava questa cosa che se non si e famosi o non si va in televisione,
non si vende. Comunque tornando al libro, quando finisce la guerra il comandante Tigre torna in
Sudamerica. Alla morte della moglie torna in Italia, erano gli anni '76-'77, e di li a poco muore. Aveva
qualche risparmio, pochissimo, e nel suo testamento, scritto a mano, lascia tutto all'Anpi e in fondo alla
pagina conclude con una imprecazione: Unipol ladra!E capisci tutto. Le cooperative che si mettono a fare le banche...
Hai vissuto in campagna da ragazzino?
No perchè mio padre, che ottenne un posto di usciere a Roma a ricompensa del suo valore militare, chiamò mia madre e ce ne andammo ad abitare in una stanza a via della Giuliana. I ricordi che non ho di quegli
anni meli racconta mia madre. Parlavamo il dialetto stretto, era il 1949, avevo 6 anni, andavo a giocare e tornavo a casa piangendo disperato perche nessuno mi capiva.
Hai studiato a Roma?
Si, dalle suore, mia madre era una clericale estrema, con in famiglia due zii preti dei quali uno divenne
esorcista a Sarsina, dove nella cattedrale c'e ancora il collare di ferro di S.Vicinio per curare gli indemoniati.
Dopo le scuole medie coi preti il sangue comincia a ribollirmi e per imposizione di mio padre vado a fare
ragioneria, e li scoppia la rivolta, esistenziale. Non faccio il bravo studente e comincio a divorare i libri
della Bur, tutto quello che mi capita, però l'insegnante di italiano, ex comandante partigiano, mi protegge
e prendo il diploma. Preso il diploma scappo da casa. Nel 1963 la maggiore eta era 21 anni, ero quindi
ancora minorenne, lascio un biglietto a mia madre dicendole che non sarei tornato. La vado a trovare
due o tre giorni dopo e lei mi fa intendere che sarebbe morta di disperazione per il fatto che me ne andavo
da casa. E campata 90 anni. Incazzato come una bestia comincio a farmi crescere i capelli e a frequentare
i primi capelloni a piazza di Spagna. Quando leggo del Psiup mi dico che forse questi che si ribellano
al Pci saranno libertari, nelle mie fantasie dovevano essere sicuramente libertari... vado in queste
stanze cupe di via Zanardelli e li tutti mi guardavano un po' strano ma mi accolsero dandomi la liberta di
stare quando e quanto mi pareva. Mi annoio mortalmente, non era quello che speravo. Loro parlano
continuamente molto male di Pannella, che stava rifondando il partito Radicale, ne parlano talmente
male che dico beh qui mi rompo i coglioni ,andiamo a vedere Pannella.
Vado a via 24 maggio, la prima sede del Partito Radicale. Pannella mi apre, c'era solo lui, comincia a parlare,
non ci capisco molto ma come dico in una intervista a La Stampa e mi innamoro di Pannella, era formidabile,
sprigionava carisma. E subito Dagospia spara a letto con Pannella. Eh no amico mio! Quello
che ho fatto saranno cazzi miei...
Con Pannella abbiamo abitato insieme parecchio tempo. Frequento via 24 maggio che diventa fino al '68 anche la casa dei capelloni, e li l'anno dopo fondiamo la Lega per il divorzio e comincia la non violenza, la disobbedienza civile e la mia stagione, i miei 2-3 anni al Partito Radicale alternando viaggi con the road e
la scoperta delle sostanze, acido in testa, una quantita industriale di Lsd. Ne ho tratto i miei benefici, mi
ha aperto a dimensioni nuove facendomi correre rischi enormi perchè non c'era cultura della sostanza. Vivo
tra le stanze del Partito Radicale, le prime comuni di campagna e di città e per strada. Nel 67 rientro più stabilmente a Roma, e trovo lavoro come correttore di bozze alla tipografia dell'Avanti. Con quei soldi mi
affitto una enorme soffitta nebbiosa d'inverno dietro fontana di Trevi, a via della Panetteria, che ospiterà le
persone del primo Partito Radicale, Pannella, il suo compagno, e poi Cicciomessere e altri, soffitta che lascio
a Pannella nel '69 perche il Partito Radicale mi sembra a quel punto più orientato al Parlamento che
al marciapiede. Io vivo gli anni del partito da marciapiede. La battaglia per il divorzio fu fatta in piccola parte
in Parlamento, in gran parte per le strade delle città italiane e lì presi la mia prima denuncia per manifestazione
non autorizzata, la prima delle 137 che mi porterò appresso fino al mandato di carcerazione e poi l'amnistia. Lascio il partito nel '69 e lascio la casa a Pannella che poi se l'e comprata. Faccio il '68 a Roma, vado qualche volta a Milano, sempre in autostop. Frequentavo i capelloni, facevamo il cazzo che ci pareva
e a differenza dei dirigenti del Movimento che si imponevano la musica popolare, noiosa, Giovanna Marini,
Pino Masi, ci facevamo le canne, gli acidi e la nostra musica. Capimmo già allora che qualcosa non funzionava, che il nostro contributo al '68 era marginalissimo, che certe spinte autoritarie, guerrigliere, si addensavano soprattutto a Roma e Milano, per cui cominciammo non solo a scambiarci i giornali che ci arrivavano da Amsterdam, Parigi, Londra, ma decidiamo di riprodurre e far uscire con una unica sigla i materiali che amavamo. Molti non erano d'accordo, in 4 o 5 decidiamo che ci saremmo chiamati Stampa Alternativa, dall�' alternative press statunitense. Il materiale piu importante in quegli anni era soprattutto americano, manuali di sopravvivenza, per costruire, per mangiare, dormire, viaggiare. Ci nutrimmo di quei
materiali e delle musiche dei Jefferson, dei Grateful Dead, Dylan, Donovan. Leggevamo e poi tra di noi
ci passavamo le informazioni in ciclostilati o col passaparola. Il primo libro, visto che coltivavamo tutti, fu
il Manuale della coltivazione della marijuana, 4-5 milioni di copie stampate nell'arco di 5 anni. Lo tirai
giù su fogli ciclostilati su entrambi i lati al ciclostile radicale, trafugato in una parrocchia. Era un Olivetti, fece
milioni di copie.
No perchè mio padre, che ottenne un posto di usciere a Roma a ricompensa del suo valore militare, chiamò mia madre e ce ne andammo ad abitare in una stanza a via della Giuliana. I ricordi che non ho di quegli
anni meli racconta mia madre. Parlavamo il dialetto stretto, era il 1949, avevo 6 anni, andavo a giocare e tornavo a casa piangendo disperato perche nessuno mi capiva.
Hai studiato a Roma?
Si, dalle suore, mia madre era una clericale estrema, con in famiglia due zii preti dei quali uno divenne
esorcista a Sarsina, dove nella cattedrale c'e ancora il collare di ferro di S.Vicinio per curare gli indemoniati.
Dopo le scuole medie coi preti il sangue comincia a ribollirmi e per imposizione di mio padre vado a fare
ragioneria, e li scoppia la rivolta, esistenziale. Non faccio il bravo studente e comincio a divorare i libri
della Bur, tutto quello che mi capita, però l'insegnante di italiano, ex comandante partigiano, mi protegge
e prendo il diploma. Preso il diploma scappo da casa. Nel 1963 la maggiore eta era 21 anni, ero quindi
ancora minorenne, lascio un biglietto a mia madre dicendole che non sarei tornato. La vado a trovare
due o tre giorni dopo e lei mi fa intendere che sarebbe morta di disperazione per il fatto che me ne andavo
da casa. E campata 90 anni. Incazzato come una bestia comincio a farmi crescere i capelli e a frequentare
i primi capelloni a piazza di Spagna. Quando leggo del Psiup mi dico che forse questi che si ribellano
al Pci saranno libertari, nelle mie fantasie dovevano essere sicuramente libertari... vado in queste
stanze cupe di via Zanardelli e li tutti mi guardavano un po' strano ma mi accolsero dandomi la liberta di
stare quando e quanto mi pareva. Mi annoio mortalmente, non era quello che speravo. Loro parlano
continuamente molto male di Pannella, che stava rifondando il partito Radicale, ne parlano talmente
male che dico beh qui mi rompo i coglioni ,andiamo a vedere Pannella.
Vado a via 24 maggio, la prima sede del Partito Radicale. Pannella mi apre, c'era solo lui, comincia a parlare,
non ci capisco molto ma come dico in una intervista a La Stampa e mi innamoro di Pannella, era formidabile,
sprigionava carisma. E subito Dagospia spara a letto con Pannella. Eh no amico mio! Quello
che ho fatto saranno cazzi miei...
Con Pannella abbiamo abitato insieme parecchio tempo. Frequento via 24 maggio che diventa fino al '68 anche la casa dei capelloni, e li l'anno dopo fondiamo la Lega per il divorzio e comincia la non violenza, la disobbedienza civile e la mia stagione, i miei 2-3 anni al Partito Radicale alternando viaggi con the road e
la scoperta delle sostanze, acido in testa, una quantita industriale di Lsd. Ne ho tratto i miei benefici, mi
ha aperto a dimensioni nuove facendomi correre rischi enormi perchè non c'era cultura della sostanza. Vivo
tra le stanze del Partito Radicale, le prime comuni di campagna e di città e per strada. Nel 67 rientro più stabilmente a Roma, e trovo lavoro come correttore di bozze alla tipografia dell'Avanti. Con quei soldi mi
affitto una enorme soffitta nebbiosa d'inverno dietro fontana di Trevi, a via della Panetteria, che ospiterà le
persone del primo Partito Radicale, Pannella, il suo compagno, e poi Cicciomessere e altri, soffitta che lascio
a Pannella nel '69 perche il Partito Radicale mi sembra a quel punto più orientato al Parlamento che
al marciapiede. Io vivo gli anni del partito da marciapiede. La battaglia per il divorzio fu fatta in piccola parte
in Parlamento, in gran parte per le strade delle città italiane e lì presi la mia prima denuncia per manifestazione
non autorizzata, la prima delle 137 che mi porterò appresso fino al mandato di carcerazione e poi l'amnistia. Lascio il partito nel '69 e lascio la casa a Pannella che poi se l'e comprata. Faccio il '68 a Roma, vado qualche volta a Milano, sempre in autostop. Frequentavo i capelloni, facevamo il cazzo che ci pareva
e a differenza dei dirigenti del Movimento che si imponevano la musica popolare, noiosa, Giovanna Marini,
Pino Masi, ci facevamo le canne, gli acidi e la nostra musica. Capimmo già allora che qualcosa non funzionava, che il nostro contributo al '68 era marginalissimo, che certe spinte autoritarie, guerrigliere, si addensavano soprattutto a Roma e Milano, per cui cominciammo non solo a scambiarci i giornali che ci arrivavano da Amsterdam, Parigi, Londra, ma decidiamo di riprodurre e far uscire con una unica sigla i materiali che amavamo. Molti non erano d'accordo, in 4 o 5 decidiamo che ci saremmo chiamati Stampa Alternativa, dall�' alternative press statunitense. Il materiale piu importante in quegli anni era soprattutto americano, manuali di sopravvivenza, per costruire, per mangiare, dormire, viaggiare. Ci nutrimmo di quei
materiali e delle musiche dei Jefferson, dei Grateful Dead, Dylan, Donovan. Leggevamo e poi tra di noi
ci passavamo le informazioni in ciclostilati o col passaparola. Il primo libro, visto che coltivavamo tutti, fu
il Manuale della coltivazione della marijuana, 4-5 milioni di copie stampate nell'arco di 5 anni. Lo tirai
giù su fogli ciclostilati su entrambi i lati al ciclostile radicale, trafugato in una parrocchia. Era un Olivetti, fece
milioni di copie.
Un cilostile Olivetti?
Si, la Olivetti fornì a tutte le parrocchie dei ciclostili formidabili, e uno di questi per qualche giro strano fini
al Partito Radicale.
al Partito Radicale.
Come sei diventato giornalista?
Nel 1967 Pannella mi consenti di registrarmi come pubblicista, pur non avendo io mai scritto nulla, permettendomi di firmare a mio nome i suoi articoli. Questo perchè potessi fornire servizi all'underground e
non. Quella registrazione mi consentì di dirigere la prima rivista omosessuale, il Fuori (Fronte Unito
Omosessuali Rivoluzionari Italiani, ndr) di Angelo Pezzana, e di dare la mia firma per le prime fanzine, i
giornali ciclostilati degli hippie, i figli dei fiori.
Ho letto da qualche parte che hai lavorato al ''Mondo'' di
Pannunzio...
Sì, e stato negli anni '60, sono andato li per curiosita - la stessa curiosita per le novita culturali, esistenziali,
che mi porto all'Astrolabio a diventare intimo di Parri. Al Mondo, come i radicali, mi insegnarono la
tolleranza.
Nel 1967 Pannella mi consenti di registrarmi come pubblicista, pur non avendo io mai scritto nulla, permettendomi di firmare a mio nome i suoi articoli. Questo perchè potessi fornire servizi all'underground e
non. Quella registrazione mi consentì di dirigere la prima rivista omosessuale, il Fuori (Fronte Unito
Omosessuali Rivoluzionari Italiani, ndr) di Angelo Pezzana, e di dare la mia firma per le prime fanzine, i
giornali ciclostilati degli hippie, i figli dei fiori.
Ho letto da qualche parte che hai lavorato al ''Mondo'' di
Pannunzio...
Sì, e stato negli anni '60, sono andato li per curiosita - la stessa curiosita per le novita culturali, esistenziali,
che mi porto all'Astrolabio a diventare intimo di Parri. Al Mondo, come i radicali, mi insegnarono la
tolleranza.
ALIAS N. 1 - 8 GENNAIO 2011
Stampa Alternativa compie 40 anni. Il suo fondatore, Marcello Baraghini, racconta di sé
e della tumultuosa storia della casa editrice. Tra i suoi ricordi l’aiuto che diede alla nascita del «manifesto».
Che facevi al «Mondo»?
Pulivo i cessi, facevo il facchino ma questo mi permetteva di osservare questa scuola di giornalismo, vedere
giornalisti che poi divennero famosi, Forcella, Barbato per esempio, costretti da Pannunzio a riscrivere
lo stesso articolo due, tre, quattro volte fino a essere disperati, in lacrime.
Io mi facevo gli acidi però mi piaceva quel giornale strano, borghese, anche se parecchie cose non mi «tornavano». Ci restai pochi mesi. È lì che conobbi Andrea Barbato con il quale facemmo in quel 1970
due cose, una delle quali riguarda il manifesto. A quel tempo campavo correggendo bozze, con 60 mila lire
al mese. Correggendo le bozze mi innamoro del corpo del libro, della materia del libro. I proto, i linotipisti
nella tipografia dell'Avanti erano compagni, e in molte ore morte appresi molto del socialismo, anche
l'amore per il piombo, e divenni bravissimo a chiudere i giornali in tipografia.
Fu lì che decisi che da grande avrei fatto l'editore. In quell'anno mi chiama Luciana Castellina a il manifesto, e in quell'anno fondiamo con Barbato, Curzi e Ceschia, che ne diventa segretario, il Movimento dei giornalisti democratici. Lì conosco Luciana Castellina come giornalista democratica che mi dice: «al manifesto siamo tutti giornalisti e nessuno ne capisce di tipografia, dacci una mano a chiudere il giornale in tipografia». C'eravamo
io e Trevisani, il grafico, in quei primi mesi. Andò tutto benissimo, salvo il continuo patema di chiudere il
giornale in tempo. Furono 6-7 mesi molto intensi, poi lasciai, ci andavoogni tanto, non prendevo una lira
naturalmente. C'erano stipendi politici,60 mila lire e 30 mila per il mezzo tempo. La difficoltà più grande
era quando avanzava una parola ai fondi di Luigi Pintor. Non riuscivo a tagliare... quella colonna di Pintor
era talmente elaborata, studiata, oltre che efficace, che non mi fu mai possibile tagliare un righino, cosa
che facevo con tutti gli altri con loro totale fiducia. Come giornalisti democratici espugnammo la Federazione della stampa, dove poi sarei dovuto andare a consegnarmi,ma invece mi diedi latitante, quando nel 1976 ebbi il mandato di carcerazione...
Il mandato di carcerazione per cosa era?
Per apologia dell'obiezione di coscienza, 13 mesi, e per apologia dell'aborto,18 mesi. Il 1970 è stato un
anno mitico, con l'entrata in vigore della legge sul divorzio, la nascita del Movimento dei giornalisti democratici, del manifesto e di Stampa Alternativa.
La mia prima condanna fu per un volantone davanti a un distretto militare di Roma, che incitava
all'obiezione di coscienza, che era fuori legge. Vado io perché ero militesente, quindi non c'era l'alibi
del «tu non vuoi fare il servizio...». Mi blindano, mi picchiano, mi portano al secondo distretto e al processo
mi danno 13 mesi, primo secondo e terzo grado. Appena finito il terzo grado scatta la denuncia per Contro
la famiglia, sequestro del libro, processo, 18 mesi senza i benefici. Il che significava che i 18 mesi diventavano
esecutivi in primo grado, per cui sommati ai 13 precedenti, scatta il mandato di carcerazione.
Con Guido Blumir bandimmo una conferenza stampa per consegnarmi alla polizia nella sede della Federazione della stampa. Invece mi diedi latitante. Era il 1976, anno di piombo estremo, vado in giro per
l'Italia, un po' al sud, un po' al centro e dopo un po' i vari compagni che mi ospitano mi dicono «guarda,
per favore, datti...», fino a che arrivo a Sorano dove ritrovo vecchi amici degli anni '60 che avevano da tempo
lasciato la città per andare a vivere in campagna. E vengo accolto, protetto.
Quante denuncie hai collezionato?
Avevo 4 avvocati che mi difendevano gratis, e non bastavano, a fronte di 137 procedimenti per reati di opinione e per i diritti civili. Le fanzine che uscivano a mia firma, oltre ai nostri libri, provocavano continuamente denunce per apologia di reato. Tutti reati di opinione, non c'era banda armata: tutte le testate della lotta armata in Italia mi hanno chiesto di fare il direttore, ma ho rifiutato sistematicamente sostenendo
che ognuna di queste testate aveva giornalisti in seno, e io davo la firma a coloro che non avevano giornalisti.
E poi c'era una mia irritazione verso la sponda violenta, essendo allora e continuando a essere un non violento, la scuola di Pannella mi ha convinto delle ragioni della non violenza.
Ricevi ancora denunce?
Ora ci sono le querele, per diffamazione. Ormai il regime è peggio di quello fascista dice Pannella. Il libro
che mi portò al mandato di carcerazione, Contro la famiglia, era un manuale che spiegava come un minorenne
poteva, avendo subito violenze in famiglia, avviare un percorso alla luce del sole per arrivare alla revoca
della patria potestà.
In base a cosa?
Al Codice Rocco, il codice fascista... pensa al paradosso. Sono orgoglioso della prima condanna per apologia dell'obiezione di coscienza, quella manifestazione probabilmente avviò il percorso che portò al servizio civile. Subito dopo infatti fu fondata la Lega obiettori di coscienza, ma ci voleva quella scintilla. Ora picchiano con le querele, non hanno problemi di denaro e quindi la democrazia muore. Se non ho la possibilità di difendermi dalle querele perché mi spolpano vivo, o perché gli avvocati costano troppo, e metto per primo perché gli avvocati costano troppo, muore la democrazia in questo paese.
Sei stato il primo a pubblicare
in Italia qualcosa di Albert Hofmann...
La mia idea è che per capire le sostanze che accompagnano la mia vita e la vita di Stampa Alternativa devo
far parlare gli scopritori di quelle sostanze, in primis Hofmann. Con un «Millelire» faccio parlare lo scopritore
dell’Lsd: pubblico Viaggi Acidi - tiratura mezzo milione di copie - che è un estratto del suo Lsd il mio
bambino difficile. Non avevo i soldi per pubblicare tutto il libro. In seguito riuscii a realizzare un mio grande
sogno e feci venire Hofmann in persona per una serata alla biblioteca Sormani di Milano, con un’aula gremita
di punkabbestia e ricercatori del Cnr, metà in piedi abbrancati ai muri, e non volò una mosca. Lui venne in treno, andammo a prenderlo alla stazione, m’aspettavo un 90enne stanco, niente, tranquillo. Il giorno dopo io e Roberta, la mia compagna allora, lo accompagnammo a Lodi da un suo amico ricercatore di quando aveva lavorato nei laboratori della Roche di Lodi. La strada era affollatissima, ci mettemmo un’ora e mezza e lui ci raccontò tutto il suo ‘900, lui studente, lui poco più che bambino, le guerre, il nazismo, una lezione di storia... e a un certo punto chiede a Roberta di inchiodare, di fermare la macchina, noi pensiamo che deve andare in
un bar a fare pipì, invece andò a comprare un mazzo di fiori per Roberta.
Era così Hofmann. La mia idea è stata: i miei miti li invito a casa mia. In modo che non devo andare
io da loro, giro poco, ho smesso di girare dopo gli anni ’60. Questa è la mia idea, ospitarli e accoglierli alle
mie condizioni, che sono di estrema povertà... budget da aerei a pedali.
Torniamo in Maremma...
Nel 1976 approdo in Maremma, latitante. L’anno dopo c’è l'amnistia e fondo con altri compagni la cooperativa Terra Rossa, per avere in adozione un terreno dell'Opera Pia di Pitigliano che si chiamava Terra
Rossa. Non ce lo danno, perché il Pci fa la guerra alla cooperativa Terra Rossa. Mi riprende voglia di fare
libri e fondo la seconda Stampa Alternativa, quella dei libri per la libreria. I primi libri me li faccio da solo,
li vado a stampare a Terni in pullman o in treno, ne porto un po' di copie a Roma alla libreria L'Uscita e
da Feltrinelli, dove intercetto anche Giangiacomo... finché vanno talmente bene che lancio un appello
per darmi una mano. Dei vecchi amici figli dei fiori accetta solo il mio attuale amministratore delegato
della società che gestisce i libri di Stampa Alternativa, si chiama Nuovi Equilibri, che nei primi '80 esce
dalla sua comune, lascia la sua casa di campagna, viene a fare l'organizzatore e ci impiantiamo a Viterbo.
Continuo ad abitare in Maremma, faccio il pendolare con Milano dove avevo un piccolo ufficio in via Zecca
Vecchia, era la sede dei primi radicali e della prima Lega per l'aborto, quella di Adele Faccio e Emma
Bonino. La casa editrice ha varie fasi, invento i libri «Millelire», che è la fase più tumultuosa, fino a che arriviamo alla nuova Stampa Alternativa che rimane in libreria prevedendone la fuoriuscita non perché non
ci vogliamo rimanere ma perché non ci fanno restare. Ci stano cacciando, Feltrinelli non vuole i «Millelire
» perché ci guadagna troppo poco e perché i contenuti non sono quelli dell'establishment. Ci sono due fatti da rilevare successi in questi anni: primo Berlusconi che rapina Mondadori, col dolo, c'è ancora il processo. Lui e gli uomini del suo marketing, prima Tatò, poi Gian Arturo Ferrari, cambiano le regole, che sono quelle intanto di espellere la qualità dai loro cataloghi, poi sovietizzare all'incontrario e indirizzare le loro grosse case editrici - e sull'onda le altre si adeguano - al consumismo più becero, più acritico, i Camilleri, i Moccia. Le regole vengono poi imposte anche alla catena distributrice. La seconda disfatta è quella della critica letteraria, asservita. Negli anni '70, '60 i critici erano di parte ma onesti, il lavoro per cui erano pagati lo facevano. Ora è una critica pagata dalla grossa editoria, che non lascia una riga agli indipendenti. In questa situazione è chiaro
che non sto ad aspettare che mi sparino alla tempia, e prevedo una nuova Stampa Alternativa per i prossimi
40 anni, rimanendo in libreria col coltello tra i denti.
La rivoluzione dei «Millelire» è stata di portata planetaria, e uno immaginerebbe che «Stampa Alternativa» abbia fatto soldi a palate... Abbiamo venduto 22 milioni di «Millelire», ma devi considerare che la filiera che porta il libro in libreria si becca il 70%. Sì abbiamo avuto un boom in quegli anni, da un fatturato di 600 milioni passammo a 3-4 miliardi nell'arco di un anno o due, però fummo cattivi organizzatori, non avevamo cultura
d'impresa, e tutto si sgonfiò improvvisamente,quando entrò Newton Compton a proporre cattivi «Millelire
». I librai cacciarono via noi per accogliere quei «Millelire» con la copertina a colori e 100 pagine. Per
noi fu una disfatta, rifondai la casa editrice con una serie di nuove collane, soprattutto Eretica. Quella collana
supereconomica della Newton Compton è poi fallita, invece nonostante Feltrinelli rifiuti i «Millelire»
perché abbassano lo scontrino medio, ora siamo tornati in classifica, per quello che valgono le classifiche,
siamo al primo posto dei supereconomici. Abbiamo sempre navigato su un binario doppio, qualità e
prezzo, solo che quando ho il 70% del prezzo di copertina che va alla filiera distributiva e i soldi delle poche
o delle tante copie vendute ci arrivano dopo che abbiamo dovuto pagare tutti, vuol dire che siamo
ostaggio delle banche, che ora stanno chiudendo i rubinetti e pare non vogliano più anticiparci i soldi
per la carta. E allora ecco la nuova stagione di Stampa Alternativa, prima che sia troppo tardi, che parta il
colpo, come in quella famosa foto del vietnamita inginocchiato col generale che gli sta per sparare alla
tempia. Noi siamo editori in ginocchio piegati alla fascistizzazione dell'editoria. La grossa editoria e la
grossa distribuzione hanno fascistizzato la cultura libraria, la letteratura, la saggistica. Una possibilità
per il futuro è che il libro esca da questo mercato per riproporsi in un mercato parallelo, con altre modalità.
In due parole, il libro elettronico e l'abolizione del copyright. Si è concluso da poco l’VIII° Festival
internazionale di Letteratura Resistente organizzato da «Stampa Alternativa»... È stato aperto da tre donne, una verduraia, una contadina e una donna di Scansano. Franca Piccini ha un negozio di verdure a Sorano e scambia ricette con altre donne. Da questo scambio è nato Il quaderno di Franca, è un quaderno dove lei ha
raccolto le sue ricette e quelle delle altre donne del paese. Quindi un libro di popolo, scritto dal popolo,
che il popolo ha premiato comprandone, all’edicola di Sorano, quindi nell'arco di una piazza fisica, mille
copie. Il che vuol dire un libro a chilometro zero. Poi c’è il libro di una contadina che racconta la sua infanzia,
il padre minatore che muore in miniera, lei che viene adottata dalla padrona della miniera non per beneficienza
ma per farla diventare sua serva... racconta una stagione della sua vita con la sua lingua, e diventa per questo scrittrice. Non è Camilleri, non è Baricco, è la verduraia, la contadina, la carbonaia, che si raccontano e usando la loro lingua diventano scrittrici. Questo VIII° festival, itinerante tra Sorano, Montebuono, Pitigliano con 6-7 eventi nell'arco di due giorni, tratteggia il futuro, che è fatto da una parte dal libro a km. zero, del ritornare al comprensorio o addirittura a una strada, una piazza, una bottega, perché lì può succedere la piccola rivoluzione culturale di quel territorio. Si reintroduce cultura a partire dalla vita degli ultimi, degli umili,
dei senza voce, che la voce ce l'hanno ma non hanno letteratura. E l'altra è il libro elettronico. Il futuro secondo me non è abbandonare il libro di carta, ma ripartire dando il primato al libro elettronico, che nella
mia visione della nuova stagione di Stampa Alternativa è quella del libro privo di copyright. Finalmente
dopo 40 anni posso esaltarmi con un progetto che azzera la proprietà sul libro di qualità, che deve essere
consegnato su internet all'umanità. Tenendoci pronti noi, in seconda battuta, a proporlo su carta e a offrirlo
a un prezzo calmierato grazie alla mancanza di intermediazione. Se non ho intermediazione questo libro
che dovrei far pagare 18 euro, lo posso vendere a 9, a 6 euro. Lo snodo è questo, lo offro gratis su internet
in quantità illimitata, nella convinzione che chi lo legge poi lo vuole anche acquistare, perché ne vuol
far dono o lo vuole avere nella sua biblioteca. Se vai su www.riaprireilfuoco.org, trovi nostri libri già leggibili
e scaricabili gratuitamente. Il nomedel sito viene dall'ultimo libro di Luciano Bianciardi. Sto delineando
un percorso che non è antagonista al passato, è valore aggiunto. Io continuo, resisto coi libri con i codici a
barre perché è la mia storia, però prevedo un futuro fatto sempre più di libri che non si troveranno in libreria,
saranno consegnati all'umanità gratis, scaricabili e leggibili, con una opzione: amico questo libro è disponibile anche su carta, con la qualità di Stampa Alternativa, e te lo posso proporre a metà del prezzo che troveresti in libreria (ma che non trovi più perché non c'è) perché non ho più le spese di distribuzione, che regalo a te, non le monetizzo. Uno dei nostri slogan è «dal libro sfinito», quello dell'editoria attuale,i best seller, le fighe, le tette, i Camilleri etc. «al libro infinito» e ai nipotini scellerati dei «Millelire», i «Bianciardini», in onore a Luciano
Bianciardi. Sono libri senza codice a barre che costano «almeno un centesimo», proposti su internet, sono
racconti, saggi, in foliazione minima, 16 pagine. «Almeno un centesimo » significa che non ne spedisco
uno alla volta, solo il francobollo costa 60 centesimi, ma 100 alla volta. La proposta è: te ne mando 100 poi
fanne quello che vuoi, non c'è ricevuta, non c'è resa, tu diventi distributore e quando vuoi mi mandi in
busta qualcosa del ricavato. Il miracolo è che dopo centinaia di migliaia di copie dei primi titoli, per la prima
volta nella mia storia editoriale ho i soldi per la carta per i prossimi libri. Chi riceve il pacco da 100 copie,
incassa talmente tanti soldi che raramente manda solo un euro, la media è 5,10 euro, i lettori diventano
complici, appassionati alle iniziative. L'idea è quella di un editore diffuso, dove ognuno è editore. Non è
Stampa Alternativa che cambia pelle, continua a fare quello che ha sempre fatto ma apre una strada - si
chiama Strade Bianche - di sperimentazione, in previsione di una crisi di presenza in libreria, attraverso
internet e la responsabilizzazione del lettore che diventa distributore e promotore e finanziatore. Internet
è il gommone, la ciambella di salvataggio, il cavallo di Troia per diffondere e comunicare... Ma c'è
una totale divergenza con quanti lavorano sugli eBook, i libri elettronici, loro vogliono farli pagare poco
meno di quelli cartacei, è una truffa, una grande truffa come con la musica, te ne regalano un po' per
farti poi comprare il cofanetto con le firme... no, io dall'inizio voglio proporti un patto di guerriglia.
Come sai «il manifesto» sta attraversando un momento molto difficile…
Forse è una battuta, ma rinunciate ai soldi pubblici. Nel 1970 era la follia al manifesto: io facevo un po' di
ore su da Michele Melillo per preparare la chiusura in tipografia, arrivavo alle tre e vedevo arrivare una
quantità di compagni e una quantità di soldi in busta che finanziavano il giornale. Il giornale non aveva soldi,
io andavo alle assemblee dei giornalisti democratici, gli spiegavo che noi del manifesto facevamo un quotidiano senza soldi e si mettevano a ridere. Il giornale uscì e si affermò. Era un giornale di popolo, oggi che
giornale è? Comunista? Ma che vuol dire? Io parto dalla morte delle ideologie, il manifesto rimane aggrappato
a quella dicitura, ma dov'è il popolo? Il mio suggerimento è provate la sfida finale prima di morire, rinunciate
ai soldi pubblici, ripartite da zero, rinfocolate con i contenuti e con la passione quello che avete
fatto tanti anni fa. Giocatevela questa sfida piuttosto che aspettare che tolgano l'ossigeno. Ricominciate a
provocare. Io sto cercando di fare esattamente questo nel mio piccolo. Se continuo a crogiolarmi, a dirmi
che sono bravo, che faccio i libri migliori, che costano di meno, muoio tra un anno o due. Ma non sono
rassegnato, anzi prevedo uno scenario futuro che non è mai stato così promettente per me che sono ancora
indignato, incazzato, esasperato ma che ho voglia di lottare, di scontrarmi frontalmente, e comincio da
alcuni simboli: per il manifesto è il finanziamento pubblico, per me è il codice a barre.
ALIAS N. 1 - 8 GENNAIO 2011
LA SUA BIOGRAFIA LA TROVI ANCHE SU WIKIPEDIA
«Il futuro non è abbandonare il libro di carta, ma dare
il primato al libro elettronico. Nella mia visione, nella nuova
stagione di Stampa Alternativa c’è il libro senza copyright»
Stampa Alternativa compie 40 anni. Il suo fondatore, Marcello Baraghini, racconta di sé
e della tumultuosa storia della casa editrice. Tra i suoi ricordi l’aiuto che diede alla nascita del «manifesto».
Che facevi al «Mondo»?
Pulivo i cessi, facevo il facchino ma questo mi permetteva di osservare questa scuola di giornalismo, vedere
giornalisti che poi divennero famosi, Forcella, Barbato per esempio, costretti da Pannunzio a riscrivere
lo stesso articolo due, tre, quattro volte fino a essere disperati, in lacrime.
Io mi facevo gli acidi però mi piaceva quel giornale strano, borghese, anche se parecchie cose non mi «tornavano». Ci restai pochi mesi. È lì che conobbi Andrea Barbato con il quale facemmo in quel 1970
due cose, una delle quali riguarda il manifesto. A quel tempo campavo correggendo bozze, con 60 mila lire
al mese. Correggendo le bozze mi innamoro del corpo del libro, della materia del libro. I proto, i linotipisti
nella tipografia dell'Avanti erano compagni, e in molte ore morte appresi molto del socialismo, anche
l'amore per il piombo, e divenni bravissimo a chiudere i giornali in tipografia.
Fu lì che decisi che da grande avrei fatto l'editore. In quell'anno mi chiama Luciana Castellina a il manifesto, e in quell'anno fondiamo con Barbato, Curzi e Ceschia, che ne diventa segretario, il Movimento dei giornalisti democratici. Lì conosco Luciana Castellina come giornalista democratica che mi dice: «al manifesto siamo tutti giornalisti e nessuno ne capisce di tipografia, dacci una mano a chiudere il giornale in tipografia». C'eravamo
io e Trevisani, il grafico, in quei primi mesi. Andò tutto benissimo, salvo il continuo patema di chiudere il
giornale in tempo. Furono 6-7 mesi molto intensi, poi lasciai, ci andavoogni tanto, non prendevo una lira
naturalmente. C'erano stipendi politici,60 mila lire e 30 mila per il mezzo tempo. La difficoltà più grande
era quando avanzava una parola ai fondi di Luigi Pintor. Non riuscivo a tagliare... quella colonna di Pintor
era talmente elaborata, studiata, oltre che efficace, che non mi fu mai possibile tagliare un righino, cosa
che facevo con tutti gli altri con loro totale fiducia. Come giornalisti democratici espugnammo la Federazione della stampa, dove poi sarei dovuto andare a consegnarmi,ma invece mi diedi latitante, quando nel 1976 ebbi il mandato di carcerazione...
Il mandato di carcerazione per cosa era?
Per apologia dell'obiezione di coscienza, 13 mesi, e per apologia dell'aborto,18 mesi. Il 1970 è stato un
anno mitico, con l'entrata in vigore della legge sul divorzio, la nascita del Movimento dei giornalisti democratici, del manifesto e di Stampa Alternativa.
La mia prima condanna fu per un volantone davanti a un distretto militare di Roma, che incitava
all'obiezione di coscienza, che era fuori legge. Vado io perché ero militesente, quindi non c'era l'alibi
del «tu non vuoi fare il servizio...». Mi blindano, mi picchiano, mi portano al secondo distretto e al processo
mi danno 13 mesi, primo secondo e terzo grado. Appena finito il terzo grado scatta la denuncia per Contro
la famiglia, sequestro del libro, processo, 18 mesi senza i benefici. Il che significava che i 18 mesi diventavano
esecutivi in primo grado, per cui sommati ai 13 precedenti, scatta il mandato di carcerazione.
Con Guido Blumir bandimmo una conferenza stampa per consegnarmi alla polizia nella sede della Federazione della stampa. Invece mi diedi latitante. Era il 1976, anno di piombo estremo, vado in giro per
l'Italia, un po' al sud, un po' al centro e dopo un po' i vari compagni che mi ospitano mi dicono «guarda,
per favore, datti...», fino a che arrivo a Sorano dove ritrovo vecchi amici degli anni '60 che avevano da tempo
lasciato la città per andare a vivere in campagna. E vengo accolto, protetto.
Quante denuncie hai collezionato?
Avevo 4 avvocati che mi difendevano gratis, e non bastavano, a fronte di 137 procedimenti per reati di opinione e per i diritti civili. Le fanzine che uscivano a mia firma, oltre ai nostri libri, provocavano continuamente denunce per apologia di reato. Tutti reati di opinione, non c'era banda armata: tutte le testate della lotta armata in Italia mi hanno chiesto di fare il direttore, ma ho rifiutato sistematicamente sostenendo
che ognuna di queste testate aveva giornalisti in seno, e io davo la firma a coloro che non avevano giornalisti.
E poi c'era una mia irritazione verso la sponda violenta, essendo allora e continuando a essere un non violento, la scuola di Pannella mi ha convinto delle ragioni della non violenza.
Ricevi ancora denunce?
Ora ci sono le querele, per diffamazione. Ormai il regime è peggio di quello fascista dice Pannella. Il libro
che mi portò al mandato di carcerazione, Contro la famiglia, era un manuale che spiegava come un minorenne
poteva, avendo subito violenze in famiglia, avviare un percorso alla luce del sole per arrivare alla revoca
della patria potestà.
In base a cosa?
Al Codice Rocco, il codice fascista... pensa al paradosso. Sono orgoglioso della prima condanna per apologia dell'obiezione di coscienza, quella manifestazione probabilmente avviò il percorso che portò al servizio civile. Subito dopo infatti fu fondata la Lega obiettori di coscienza, ma ci voleva quella scintilla. Ora picchiano con le querele, non hanno problemi di denaro e quindi la democrazia muore. Se non ho la possibilità di difendermi dalle querele perché mi spolpano vivo, o perché gli avvocati costano troppo, e metto per primo perché gli avvocati costano troppo, muore la democrazia in questo paese.
Sei stato il primo a pubblicare
in Italia qualcosa di Albert Hofmann...
La mia idea è che per capire le sostanze che accompagnano la mia vita e la vita di Stampa Alternativa devo
far parlare gli scopritori di quelle sostanze, in primis Hofmann. Con un «Millelire» faccio parlare lo scopritore
dell’Lsd: pubblico Viaggi Acidi - tiratura mezzo milione di copie - che è un estratto del suo Lsd il mio
bambino difficile. Non avevo i soldi per pubblicare tutto il libro. In seguito riuscii a realizzare un mio grande
sogno e feci venire Hofmann in persona per una serata alla biblioteca Sormani di Milano, con un’aula gremita
di punkabbestia e ricercatori del Cnr, metà in piedi abbrancati ai muri, e non volò una mosca. Lui venne in treno, andammo a prenderlo alla stazione, m’aspettavo un 90enne stanco, niente, tranquillo. Il giorno dopo io e Roberta, la mia compagna allora, lo accompagnammo a Lodi da un suo amico ricercatore di quando aveva lavorato nei laboratori della Roche di Lodi. La strada era affollatissima, ci mettemmo un’ora e mezza e lui ci raccontò tutto il suo ‘900, lui studente, lui poco più che bambino, le guerre, il nazismo, una lezione di storia... e a un certo punto chiede a Roberta di inchiodare, di fermare la macchina, noi pensiamo che deve andare in
un bar a fare pipì, invece andò a comprare un mazzo di fiori per Roberta.
Era così Hofmann. La mia idea è stata: i miei miti li invito a casa mia. In modo che non devo andare
io da loro, giro poco, ho smesso di girare dopo gli anni ’60. Questa è la mia idea, ospitarli e accoglierli alle
mie condizioni, che sono di estrema povertà... budget da aerei a pedali.
Torniamo in Maremma...
Nel 1976 approdo in Maremma, latitante. L’anno dopo c’è l'amnistia e fondo con altri compagni la cooperativa Terra Rossa, per avere in adozione un terreno dell'Opera Pia di Pitigliano che si chiamava Terra
Rossa. Non ce lo danno, perché il Pci fa la guerra alla cooperativa Terra Rossa. Mi riprende voglia di fare
libri e fondo la seconda Stampa Alternativa, quella dei libri per la libreria. I primi libri me li faccio da solo,
li vado a stampare a Terni in pullman o in treno, ne porto un po' di copie a Roma alla libreria L'Uscita e
da Feltrinelli, dove intercetto anche Giangiacomo... finché vanno talmente bene che lancio un appello
per darmi una mano. Dei vecchi amici figli dei fiori accetta solo il mio attuale amministratore delegato
della società che gestisce i libri di Stampa Alternativa, si chiama Nuovi Equilibri, che nei primi '80 esce
dalla sua comune, lascia la sua casa di campagna, viene a fare l'organizzatore e ci impiantiamo a Viterbo.
Continuo ad abitare in Maremma, faccio il pendolare con Milano dove avevo un piccolo ufficio in via Zecca
Vecchia, era la sede dei primi radicali e della prima Lega per l'aborto, quella di Adele Faccio e Emma
Bonino. La casa editrice ha varie fasi, invento i libri «Millelire», che è la fase più tumultuosa, fino a che arriviamo alla nuova Stampa Alternativa che rimane in libreria prevedendone la fuoriuscita non perché non
ci vogliamo rimanere ma perché non ci fanno restare. Ci stano cacciando, Feltrinelli non vuole i «Millelire
» perché ci guadagna troppo poco e perché i contenuti non sono quelli dell'establishment. Ci sono due fatti da rilevare successi in questi anni: primo Berlusconi che rapina Mondadori, col dolo, c'è ancora il processo. Lui e gli uomini del suo marketing, prima Tatò, poi Gian Arturo Ferrari, cambiano le regole, che sono quelle intanto di espellere la qualità dai loro cataloghi, poi sovietizzare all'incontrario e indirizzare le loro grosse case editrici - e sull'onda le altre si adeguano - al consumismo più becero, più acritico, i Camilleri, i Moccia. Le regole vengono poi imposte anche alla catena distributrice. La seconda disfatta è quella della critica letteraria, asservita. Negli anni '70, '60 i critici erano di parte ma onesti, il lavoro per cui erano pagati lo facevano. Ora è una critica pagata dalla grossa editoria, che non lascia una riga agli indipendenti. In questa situazione è chiaro
che non sto ad aspettare che mi sparino alla tempia, e prevedo una nuova Stampa Alternativa per i prossimi
40 anni, rimanendo in libreria col coltello tra i denti.
La rivoluzione dei «Millelire» è stata di portata planetaria, e uno immaginerebbe che «Stampa Alternativa» abbia fatto soldi a palate... Abbiamo venduto 22 milioni di «Millelire», ma devi considerare che la filiera che porta il libro in libreria si becca il 70%. Sì abbiamo avuto un boom in quegli anni, da un fatturato di 600 milioni passammo a 3-4 miliardi nell'arco di un anno o due, però fummo cattivi organizzatori, non avevamo cultura
d'impresa, e tutto si sgonfiò improvvisamente,quando entrò Newton Compton a proporre cattivi «Millelire
». I librai cacciarono via noi per accogliere quei «Millelire» con la copertina a colori e 100 pagine. Per
noi fu una disfatta, rifondai la casa editrice con una serie di nuove collane, soprattutto Eretica. Quella collana
supereconomica della Newton Compton è poi fallita, invece nonostante Feltrinelli rifiuti i «Millelire»
perché abbassano lo scontrino medio, ora siamo tornati in classifica, per quello che valgono le classifiche,
siamo al primo posto dei supereconomici. Abbiamo sempre navigato su un binario doppio, qualità e
prezzo, solo che quando ho il 70% del prezzo di copertina che va alla filiera distributiva e i soldi delle poche
o delle tante copie vendute ci arrivano dopo che abbiamo dovuto pagare tutti, vuol dire che siamo
ostaggio delle banche, che ora stanno chiudendo i rubinetti e pare non vogliano più anticiparci i soldi
per la carta. E allora ecco la nuova stagione di Stampa Alternativa, prima che sia troppo tardi, che parta il
colpo, come in quella famosa foto del vietnamita inginocchiato col generale che gli sta per sparare alla
tempia. Noi siamo editori in ginocchio piegati alla fascistizzazione dell'editoria. La grossa editoria e la
grossa distribuzione hanno fascistizzato la cultura libraria, la letteratura, la saggistica. Una possibilità
per il futuro è che il libro esca da questo mercato per riproporsi in un mercato parallelo, con altre modalità.
In due parole, il libro elettronico e l'abolizione del copyright. Si è concluso da poco l’VIII° Festival
internazionale di Letteratura Resistente organizzato da «Stampa Alternativa»... È stato aperto da tre donne, una verduraia, una contadina e una donna di Scansano. Franca Piccini ha un negozio di verdure a Sorano e scambia ricette con altre donne. Da questo scambio è nato Il quaderno di Franca, è un quaderno dove lei ha
raccolto le sue ricette e quelle delle altre donne del paese. Quindi un libro di popolo, scritto dal popolo,
che il popolo ha premiato comprandone, all’edicola di Sorano, quindi nell'arco di una piazza fisica, mille
copie. Il che vuol dire un libro a chilometro zero. Poi c’è il libro di una contadina che racconta la sua infanzia,
il padre minatore che muore in miniera, lei che viene adottata dalla padrona della miniera non per beneficienza
ma per farla diventare sua serva... racconta una stagione della sua vita con la sua lingua, e diventa per questo scrittrice. Non è Camilleri, non è Baricco, è la verduraia, la contadina, la carbonaia, che si raccontano e usando la loro lingua diventano scrittrici. Questo VIII° festival, itinerante tra Sorano, Montebuono, Pitigliano con 6-7 eventi nell'arco di due giorni, tratteggia il futuro, che è fatto da una parte dal libro a km. zero, del ritornare al comprensorio o addirittura a una strada, una piazza, una bottega, perché lì può succedere la piccola rivoluzione culturale di quel territorio. Si reintroduce cultura a partire dalla vita degli ultimi, degli umili,
dei senza voce, che la voce ce l'hanno ma non hanno letteratura. E l'altra è il libro elettronico. Il futuro secondo me non è abbandonare il libro di carta, ma ripartire dando il primato al libro elettronico, che nella
mia visione della nuova stagione di Stampa Alternativa è quella del libro privo di copyright. Finalmente
dopo 40 anni posso esaltarmi con un progetto che azzera la proprietà sul libro di qualità, che deve essere
consegnato su internet all'umanità. Tenendoci pronti noi, in seconda battuta, a proporlo su carta e a offrirlo
a un prezzo calmierato grazie alla mancanza di intermediazione. Se non ho intermediazione questo libro
che dovrei far pagare 18 euro, lo posso vendere a 9, a 6 euro. Lo snodo è questo, lo offro gratis su internet
in quantità illimitata, nella convinzione che chi lo legge poi lo vuole anche acquistare, perché ne vuol
far dono o lo vuole avere nella sua biblioteca. Se vai su www.riaprireilfuoco.org, trovi nostri libri già leggibili
e scaricabili gratuitamente. Il nomedel sito viene dall'ultimo libro di Luciano Bianciardi. Sto delineando
un percorso che non è antagonista al passato, è valore aggiunto. Io continuo, resisto coi libri con i codici a
barre perché è la mia storia, però prevedo un futuro fatto sempre più di libri che non si troveranno in libreria,
saranno consegnati all'umanità gratis, scaricabili e leggibili, con una opzione: amico questo libro è disponibile anche su carta, con la qualità di Stampa Alternativa, e te lo posso proporre a metà del prezzo che troveresti in libreria (ma che non trovi più perché non c'è) perché non ho più le spese di distribuzione, che regalo a te, non le monetizzo. Uno dei nostri slogan è «dal libro sfinito», quello dell'editoria attuale,i best seller, le fighe, le tette, i Camilleri etc. «al libro infinito» e ai nipotini scellerati dei «Millelire», i «Bianciardini», in onore a Luciano
Bianciardi. Sono libri senza codice a barre che costano «almeno un centesimo», proposti su internet, sono
racconti, saggi, in foliazione minima, 16 pagine. «Almeno un centesimo » significa che non ne spedisco
uno alla volta, solo il francobollo costa 60 centesimi, ma 100 alla volta. La proposta è: te ne mando 100 poi
fanne quello che vuoi, non c'è ricevuta, non c'è resa, tu diventi distributore e quando vuoi mi mandi in
busta qualcosa del ricavato. Il miracolo è che dopo centinaia di migliaia di copie dei primi titoli, per la prima
volta nella mia storia editoriale ho i soldi per la carta per i prossimi libri. Chi riceve il pacco da 100 copie,
incassa talmente tanti soldi che raramente manda solo un euro, la media è 5,10 euro, i lettori diventano
complici, appassionati alle iniziative. L'idea è quella di un editore diffuso, dove ognuno è editore. Non è
Stampa Alternativa che cambia pelle, continua a fare quello che ha sempre fatto ma apre una strada - si
chiama Strade Bianche - di sperimentazione, in previsione di una crisi di presenza in libreria, attraverso
internet e la responsabilizzazione del lettore che diventa distributore e promotore e finanziatore. Internet
è il gommone, la ciambella di salvataggio, il cavallo di Troia per diffondere e comunicare... Ma c'è
una totale divergenza con quanti lavorano sugli eBook, i libri elettronici, loro vogliono farli pagare poco
meno di quelli cartacei, è una truffa, una grande truffa come con la musica, te ne regalano un po' per
farti poi comprare il cofanetto con le firme... no, io dall'inizio voglio proporti un patto di guerriglia.
Come sai «il manifesto» sta attraversando un momento molto difficile…
Forse è una battuta, ma rinunciate ai soldi pubblici. Nel 1970 era la follia al manifesto: io facevo un po' di
ore su da Michele Melillo per preparare la chiusura in tipografia, arrivavo alle tre e vedevo arrivare una
quantità di compagni e una quantità di soldi in busta che finanziavano il giornale. Il giornale non aveva soldi,
io andavo alle assemblee dei giornalisti democratici, gli spiegavo che noi del manifesto facevamo un quotidiano senza soldi e si mettevano a ridere. Il giornale uscì e si affermò. Era un giornale di popolo, oggi che
giornale è? Comunista? Ma che vuol dire? Io parto dalla morte delle ideologie, il manifesto rimane aggrappato
a quella dicitura, ma dov'è il popolo? Il mio suggerimento è provate la sfida finale prima di morire, rinunciate
ai soldi pubblici, ripartite da zero, rinfocolate con i contenuti e con la passione quello che avete
fatto tanti anni fa. Giocatevela questa sfida piuttosto che aspettare che tolgano l'ossigeno. Ricominciate a
provocare. Io sto cercando di fare esattamente questo nel mio piccolo. Se continuo a crogiolarmi, a dirmi
che sono bravo, che faccio i libri migliori, che costano di meno, muoio tra un anno o due. Ma non sono
rassegnato, anzi prevedo uno scenario futuro che non è mai stato così promettente per me che sono ancora
indignato, incazzato, esasperato ma che ho voglia di lottare, di scontrarmi frontalmente, e comincio da
alcuni simboli: per il manifesto è il finanziamento pubblico, per me è il codice a barre.
ALIAS N. 1 - 8 GENNAIO 2011
LA SUA BIOGRAFIA LA TROVI ANCHE SU WIKIPEDIA
Grande Marcello!
RispondiEliminaSei un mito, caro Marcello oggi ho spedito una busta con posta prioritaria per ricevere la Press Card 2016, arriverà alla tua casa editrice giovedì, mi piacerebbe se mi spedissi la tessera di stampa alternativa prima del 3 dicembre, dato che forse, avendola riesco ad intervistare Elisa, al suo concerto al palaparthenope.
RispondiElimina