domenica 27 marzo 2011

verso LA FESTA DI LIBERAZIONE



Provoca una strana emozione questa raccolta di lettere d’amore scritte o ricevute da militari italiani impegnati nelle guerre dal 1915 al 1945: quella di scoprire che le cose più desiderate in quei momenti di paura e pericolo sono le cose tranquille e note del vivere quotidiano: i piselli da maturare, la brillantina che scarseggia, i francobolli che non si trovano. E poi l’amore, certo, per la donna rimasta a casa, con la quale non si vorrebbe mai interrompere il colloquio quotidiano. Non si troveranno invece qui accenti eroici, dichiarazioni nobili, parole che suscitino commozione e ammirazione. Si troverà invece eroismo quotidiano, volontà di sopravvivenza, ostinazione a rimettere tutto a posto come prima, che costituisce l’essenza stessa e la grandezza del paese reale. 


lettera 22 

 Guerra e pace a Sorano 
un libro e una mostra
di Marcello Baraghini

 
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MOSTRA MERCATO DI PRIMAVERA


 
 
 
LETTERA 22
 
  SORANO SORPRENDENTE
DI MARCELLO BARAGHINI
 
 
 
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sabato 26 marzo 2011

I BIANCIARDINI


I Bianciardini: un sogno da un centesimo, almeno

I Bianciardini sono una serie di libri che si chiameranno UN CENT e costeranno un centesimo di euro: sono una nostra idea, nata ed alimentata non solo in una discussione privata, ma dal confronto con il pubblico nelle occasioni che finora abbiamo avuto per parlare de Il fuorigioco mi sta antipatico, il libro di Luciano Bianciardi da poco nelle librerie.
Ci siamo chiesti, sin dalle prime ore delle vicende che ci hanno reso complici orgogliosi, come potevamo rendere un tributo non retorico e stantio a Bianciardi per quanto lui aveva scritto e fatto, e soprattutto per dare di nuovo corpo alla rabbia, all’anarchia, all’ironia e alla ribellione che hanno animato i suoi brevi anni di vita.
Abbiamo convenuto che si trattava prima di tutto di mettere al centro il lettore, di strapparlo alle grinfie della grossa editoria, che in nome del profitto e del fatturato, dopo aver cancellato quanto di buono la letteratura del ‘900 aveva proposto, lo ha reso subordinato e passivo, deprivato delle passioni e assoggettato al consumo acritico. Siamo allora partiti con l’annullare l’ostacolo primario, costituito dal prezzo del libro, riducendolo ad una cifra irrisoria ed emblematica, e aggiungendo al marchio UN CENT la parola ALMENO, che è il primo vero invito alla complicità.
Il lettore, con qualche centesimo in più, diventa finanziatore. Per un centesimo almeno, scoprirà e riscoprirà contenuti preziosi, dimenticati, sepolti da qualche parte, come quello del numero zero, un numero di prova.
E il lettore diventa anche distributore e promotore: gli proporremo di spedirgli a casa, se le vuole, almeno cento copie di un titolo o di più titoli, per poterle distribuire, vendere, regalare, perché con quel prezzo di copertina i Bianciardini sono naturalmente esclusi dal circolo commerciale librario.
E allora: finanziatore, promotore, distributore e perché no, cacciatore di testi, alla nostra maniera, testi che sarebbero sicuramente piaciuto a Luciano.
Quindi, così pensiamo noi, nostro complice al cento per cento e come noi sognatore, ma sognatore a occhi aperti, per traghettare il libro da sfinito, come lo hanno ridotto ora, a infinito, come lo renderemo noi, assieme a lui.
Scriveteci, suggeriteci, criticateci, segnalateci, prenotatevi: almenouncent@riaprireilfuoco.org
Comitato Antifondazione Luciano Bianciardi
Casella Postale 37
58017 Pitigliano (Grosseto)

venerdì 25 marzo 2011

I "MILLELIRE"


I “Millelire” di Stampa Alternativa tornano in classifica

Ciucciati il calzinoDa qualche settimana c’è una novità nella classifica dei libri (fonte Arianna-Informazioni editoriali) più venduti che Repubblica fornisce il sabato (e Affaritaliani.it, in anteprima, ogni lunedì): ci sono in classifica nei SuperEconomici dei libri Millelire, editi da Stampa Alternativa. E dire che non sono proprio delle novità, né che sono libri particolari, anzi i titoli apparsi in classifica sono molto diversi tra loro.
Tempo fa è stata la volta di Epicuro, con la sua Lettera sulla felicità, uno dei primissimi Millelire, quindi un libro di una ventina d’anni fa, forse più, già venduto in milioni (sì, sì, non è un errore, milioni) di copie. Poi è toccato ad Orti Insorti di Elena Guerrini. Questa settimana, come quella passata si sono arrampicati in classifica: Ciucciati il calzino, il meglio o il peggio delle battute dei Simpson televisivi e Il giro del mondo in 80 gaffe, quelle del nostro presidente del consiglio, e chi sennò.
Il giro del mondo in 80 gaffeEcco come la stessa casa editrice indipendente spiega il successo:
“Qual è la ragione che sta alla base del successo di questi libri, che non hanno ricevuto la benché minima promozione, che non sono mai passati in televisione, che non sono mai stati fotografati con veline o in isole di famosi, che non sono scritti da papi o da vespe o da scintillanti comici di Zelig? Si stenta a crederlo ma è il prezzo, sì il prezzo estremamente basso, non più le vecchie mille lire, ma un euro, il costo di un caffè o di un giornale, anzi a volte un po’ meno. So che molti di voi diranno che non c’entra, che il prezzo di un libro non può essere così basso, che non si può pubblicare e rimetterci i soldi, che l’autore va ricompensato, che tutto questo è qualunquismo, che la cultura va protetta. Tutto quello che volete. Ma intanto i libri ad un euro si vendono eccome. E senza pubblicità.

L’ultima novità della serie, in anteprima su Affaritaliani.it due settimane fa:
Stampa Alternativa manda in libreria a solo 1 euro le migliori battute dei Simpson raccolte in un volume a cura Alessandro Paronuzzi, dal titolo inevitabile: “Ciucciati il calzino!”…
IL LIBRO -
simpson
La copertina
“Questo cartoon è una forma d’arte” hanno scritto il “New York Times” e Umberto Eco a proposito dei Simpson, i protagonisti del cartone animato scaturito dalla fantasia di Matt Groening. “Ciucciati il calzino!” – l’ormai mitica imprecazione di Bart Simpson – raccoglie le più folgoranti battute della “famiglia più patetica dell’universo”, che da oltre vent’anni imperversa sugli schermi televisivi del mondo intero: un libro imperdibile per la schiera sterminata di fan.
L’INTRODUZIONE - I “Simpson” sono comparsi la prima volta nel 1987 in un talk-show televisivo, come corti della durata di un solo minuto. Il clamoroso successo subito ottenuto ha convinto il loro ideatore, Matt Groening, a trasformarli in episodi della durata di mezz’ora: il primo di questi, “Un Natale da cani”, è andato in onda in America il 15/12/1989. Da allora sono passati più di vent’anni e il favore del pubblico non accenna a diminuire. In tutti questi anni abbiamo così imparato a conoscere e amare l’adiposo e indolente Homer, Marge, Bart, Lisa, la piccola Maggie e nonno Abraham – e assieme a loro l’intera cittadina di Spring?eld con il suo campionario bene (o male) assortito di varia umanità: dove senz’altro i difetti hanno la meglio sulle qualità. Ed è proprio questa la principale ragione del successo del cartone animato, perché conoscere i Simpson con tutti i loro macroscopici limiti ci fa sentire in qualche misura migliori. Ma sarà poi vero?
(Questo articolo è stato pubblicato su Affari Italiani)




UNO FRA I PENSATORI PIù AMATI E ODIATI DI TUTTI I TEMPI, IL CUI PENSIERO è UN INCUBO NELLA STORIA DEL CRISTIANESIMO
è UNO DEI POCHISSIMI SCRITTI DI EPICURO CHE NON SIANO STATI DISTRUTTI NEL CORSO DELLA STORIA DELL'ODIO IDEOLOGICO.


giovedì 24 marzo 2011

VIII FESTIVAL INTERNAZIONALE DI LETTERATURA RESISTENTE



Stampa Alternativa 1970/2010: appena 40 anni
Sorano e Pitigliano (GR) 4 e 5 DICEMBRE 2010

Cara amica, caro amico,

Il primo Festival ospitò quattro scrittori analfabeti, perché: ‟La vita si scrive”, e quindi diventa letteratura. Quello dello scorso anno fu interamente dedicato a Boris Vian ed al mio innamoramento per quel ‟disertore eccellente”.
Quello di quest’anno, l’ottavo, sarà un po’ festa e un po’ festival letterario.
La festa è quella di sabato 4 dicembre, la festa dei miei, dei nostri 40 anni, con un occhio ai prossimi 40. La festa avrà ospiti d’onore, significativi di quanto di buono, di bello e di provocatorio ha combinato Stampa Alternativa in questi 40 anni: Luciana Bellini e Letizia Nucciotti, che hanno trasformato in letteratura frammenti delle loro vite; una letteratura, la loro, che riscatta il nulla della letteratura di regime. Poi ci saranno i dolci della ex verduraia di Sorano, Franca Piccini, a celebrazione del suo piccolo libro, giunto dopo due mesi all’esaurimento delle copie ed alla ristampa.
La seconda festa è quella dei musicisti erranti, capeggiati da Angelo Olivieri, con la loro musica libera e errante.
Per il festival letterario poi, io e il mio complice primario, Ettore Bianciardi, visionario ancor più di me e come me mai rassegnato di fronte a violenze, sopraffazioni ed abusi, saremo protagonisti dei quattro appuntamenti, nei quali presenteremo quattro nuovi libri di erranti, libri senza codice a barre, senza copyright e cfuori dalla distribuzione ufficiale, pubblicati con metodi e tecnologie che delineano i nostri libri dei prossimi 40 anni, nell’ottica di una sempre più necessaria lotta al regime editoriale delle veline e dei buffoni.
Apriremo con Luciana Bellini, che con Il Billo della vita, darà voce ai migranti delle campagne che popolarono e coltivarono la terra agra di Maremma. Continueremo con Profondo nero, miniere di Maremma, un’antologia di scritti su altri migranti, quelli che scendevano nelle viscere metallifere della Maremma per estrarne, a costo della salute e della vita, preziosi tesori. Chiuderemo poi, nella suggestiva sinagoga di Pitigliano, la piccola Gerusalemme, con gli emigranti per antonomasia, gli Ebrei, continuamente perseguitati, che nell’Europa centro orientale si crearono nei secoli una lingua particolare, l’yiddish, nella quale Sholem Aleichem scrisse il suo capolavoro: Che fortuna essere orfano!, oggi finalmente tradotto in italiano.
A coronamento di tutto ciò, io e Ettore presenteremo con orgoglio la nostra opera: Il libro mio lo pubblico io, che insegna a chiunque abbia scritto un libro, a farsi da solo tutte le fasi successive fino al lancio della stampa, senza dover mendicare alle porte delle grosse case editrici e senza doversi svenare, preda di affaristi senza scrupoli, chiamati editori a pagamento.
Questo non è solo un invito a partecipare, ma soprattutto un invito alla tua complicità e solidarietà per i nuovi libri, quelli dei prossimi 40 anni, che saranno, come è sempre stata Stampa Alternativa, non di Baraghini o di Bianciardi, ma di tutti coloro che condividono le nostre stesse istanze di libertà e lo stesso amore per la letteratura, quella vera, quella autentica, quella dove ci scorre il sangue dentro.

Marcello Baraghini
PROGRAMMA
SABATO 4 DICEMBRE
ore 10,30 - SORANO - Fortezza Orsini - Teatro Niccolo IV Orsini
LUCIANA BELLINI, autrice di Il Billo della vita,
dialoga con LETIZIA NUCCIOTTI, autrice di Avanzi popolo.
Partecipa: FRANCA PICCINI, autrice di Il quaderno di Franca.
Introduce: PIERANDREA VANNI - Sindaco di Sorano
ore 15,30 - MONTEBUONO DI SORANO - Ex Scuola Elementare
presentazione del libro: Profondo nero - Miniere di Maremma.
ore 21,30 - PITIGLIANO - Teatro Salvini
Musica errante dal vivo: con Angelo Olivieri, Tony Cattano, Roberto Bellatalla, Marco Ariano.
DOMENICA 5 DICEMBRE
ore 10,30 - PITIGLIANO - Strade Bianche, Via Zuccarelli, 25
Presentazione di Il libro è mio e lo pubblico io, manuale di autopubblicazione. Dibattito con gli autori: ETTORE BIANCIARDI e MARCELLO BARAGHINI.
ore 15,30 - PITIGLIANO - Sinagoga, vicolo Marghera.
ELENA SERVI presenta il libro: Che fortuna essere orfano!, dello scrittore yiddish Sholem Aleichem.
Interviene il traduttore e curatore ETTORE

LIBRERIA ASS. STRADE BIANCHE

è IN VIA ZUCCARELLI 25
A PITIGLIANO (GR)

MARCELLO BARAGHINI EDITORE 


VIA ZUCCARELLI 25, PITIGLIANO


IN QUESTA LIBRERIA TROVERETE I LIBRI DI STAMPALTERNATIVA 
Strade bianche sono quelle non asfaltate, percorse da esploratori, briganti, guerriglieri... ed e questo
il nome che Marcello Baraghini ha dato alla sua libreria-associazione in via Zuccarelli 25 a Pitigliano,in Maremma. 
 E una libreria scavata nella roccia, con una scala che porta a diversi livelli sotterranei, grotte e anfratti le cui origini si perdono nella notte degli etruschi. Mentre l'Italia e ancora sotto chock perchè ha nevicato e si prepara al natale, Marcello Baraghini racconta di sè e dei primi 40 anni della sua creatura, Stampa Alternativa.






INTERVISTA a MARCELLO BARAGHINI

¡40 ANNI DI STAMPA ALTERNATIVA¡
Il ciclostile nel cuore

 di Massimo De Feo



 Marcello Baraghini,e nato 67 anni fa a Civitella di Romagna.
Vive in una casa in campagna a Elmo, nel cuore del territorio etrusco tra Pitigliano, Sorano e Sovana. Accanto al suo casolare ha da poco costruito una Yurta, la tradizionale capanna mongola e ha pubblicato un manuale che spiega come costruirsi questo economico ed ecologico riparo. Nel 1970 ha fondato Stampa Alternativa. Da 8 anni organizza il Festival Internazionale di Letteratura Resistente (quello del 2011 sara dedicato alla letteratura yiddish) che ha ospitato tra l'altro scrittori e poeti come Gary Snyder, Jim Koller, John Giorno, John Sinclair (ex leader delle Pantere Bianche, condannato a 10 anni per 2 spinelli, cui John Lennon dedico un concerto), John Zerzan (teorico dell'anarco-primitivismo). 
Recentissimo Il libro mio lo pubblico io (scritto con Ettore Bianciardi).
Con questo manuale - dice Baraghini - ti dico non solo come impaginare il tuo libro, ma anche come venderlo,come scaricare gratuitamente da internet i programmi per impaginare, fare la copertina, la correzione
di bozze, il codice Isbn... metto in grado ogni scrittore di fare a meno dell'editore, e la rivendicazione della
mia inutilita, che poi e il mio sogno, l'utopia, l'autoproduzione.

Strade bianche
sono quelle non asfaltate, percorse da esploratori, briganti, guerriglieri... ed e questo
il nome che Marcello Baraghini ha dato alla sua libreria-associazione in via Zuccarelli 25 a Pitigliano,in Maremma. 
 E una libreria scavata nella roccia, con una scala che porta a diversi livelli sotterranei, grotte e anfratti le cui origini si perdono nella notte degli etruschi. Mentre l'fItalia e ancora sotto chock perchè ha nevicato e si prepara al natale, Marcello Baraghini racconta di sè e dei primi 40 anni della sua creatura, Stampa Alternativa. 

Da dove iniziamo?
Partiamo dal 1943, 19 novembre, io nasco in una casa di campagna, povera, contadina, era la casa dei miei
nonni e di mia madre, nel cesenate, al confine con la Toscana. Un'area bianca, conservatrice, clerico-fascista,
dove la famiglia di mia madre, di origine contadina, fece un po' di fortuna fino ad accumulare due o tre poderi. Io nasco in questa casa che era esattamente sulla Linea Gotica, ma lo vengo a sapere solo dopo 60 anni, prima mi fu negata ogni tipo di informazione su quello che era successo in quei mesi. Lo vengo
a sapere da un manoscritto che mi arriva e che pubblico. Come ho spiegato nel diario del comandante Tigre,
che era il comandante partigiano su questa Linea Gotica, quella casa per qualche giorno era in mano ai tedeschi, poi li cacciavano e subentravano i partigiani, fatto sta che il mio primo mese e mezzo di vita, almeno questo me lo dissero, lo passai in una grotta scavata sotto una grande quercia, in pieno inverno, a 7-800 metri di altitudine.
Con tutta la famiglia?
Con mia madre. Mio padre era volontario fascista prima in Grecia e poi in Spagna. Ferito, massacrato, e
rimasto fascista fino al letto di morte. Io interrogo i miei su quel periodo ma tutto quello che vengo a sapere
e che i partigiani erano brutti, cattivi, sporchi e mangiavano i bambini.
Ora 60 anni dopo mi giunge questo manoscritto che ribalta tutto, ne viene fuori un personaggio da film,
alla Fitzcarraldo, il comandante Tigre: i suoi genitori - una famiglia contadina povera del cesenate - si
trasferiscono per poverta in Amazzonia, e lui nasce la. Giovanissimo torna in Italia a fare l'Ardito del Popolo,
ritorna in Amazonia, gira per il Sudamerica, fino a che torna e diventa commissario politico della
Brigata Garibaldi. Opera esattamente in quella casa e nei dintorni, e descrive quello che succedeva in una
sorta di diario giorno per giorno.E' uno dei libri sfortunati, ha venduto poche decine di copie. L'ho pubblicato
tre o quattro anni fa, quando già cominciava questa cosa che se non si e famosi o non si va in televisione,
non si vende. Comunque tornando al libro, quando finisce la guerra il comandante Tigre torna in
Sudamerica. Alla morte della moglie torna in Italia, erano gli anni '76-'77, e di li a poco muore. Aveva
qualche risparmio, pochissimo, e nel suo testamento, scritto a mano, lascia tutto all'Anpi e in fondo alla
pagina conclude con una imprecazione: Unipol ladra!E capisci tutto. Le cooperative che si mettono a fare le banche...
Hai vissuto in campagna da ragazzino?
No perchè mio padre, che ottenne un posto di usciere a Roma a ricompensa del suo valore militare, chiamò mia madre e  ce  ne andammo ad abitare in una stanza a via della Giuliana. I ricordi che non ho di quegli
anni meli racconta mia madre. Parlavamo il dialetto stretto, era il 1949, avevo 6 anni, andavo a giocare e tornavo a casa piangendo disperato perche nessuno mi capiva.
Hai studiato a Roma?
Si, dalle suore, mia madre era una clericale estrema, con in famiglia due zii preti dei quali uno divenne
esorcista a Sarsina, dove nella cattedrale c'e ancora il collare di ferro di S.Vicinio per curare gli indemoniati.
Dopo le scuole medie coi preti il sangue comincia a ribollirmi e per imposizione di mio padre vado a fare
ragioneria, e li scoppia la rivolta, esistenziale. Non faccio il bravo studente e comincio a divorare i libri
della Bur, tutto quello che mi capita, però l'insegnante di italiano, ex comandante partigiano, mi protegge
e prendo il diploma. Preso il diploma scappo da casa. Nel 1963 la maggiore eta era 21 anni, ero quindi
ancora minorenne, lascio un biglietto a mia madre dicendole che non sarei tornato. La vado a trovare
due o tre giorni dopo e lei mi fa intendere che sarebbe morta di disperazione per il fatto che me ne andavo
da casa. E campata 90 anni. Incazzato come una bestia comincio a farmi crescere i capelli e a frequentare
i primi capelloni a piazza di Spagna. Quando leggo del Psiup mi dico che forse questi che si ribellano
al Pci saranno libertari, nelle mie fantasie dovevano essere sicuramente libertari... vado in queste
stanze cupe di via Zanardelli e li tutti mi guardavano un po' strano ma mi accolsero dandomi la liberta di
stare quando e quanto mi pareva. Mi annoio mortalmente, non era quello che speravo. Loro parlano
continuamente molto male di Pannella, che stava rifondando il partito Radicale, ne parlano talmente
male che dico beh qui mi rompo i coglioni ,andiamo a vedere Pannella.
Vado a via 24 maggio, la prima sede del Partito Radicale. Pannella mi apre, c'era solo lui, comincia a parlare,
non ci capisco molto ma come dico in una intervista a La Stampa e mi innamoro di Pannella, era formidabile,
sprigionava carisma. E subito Dagospia spara a letto con Pannella. Eh no amico mio! Quello
che ho fatto saranno cazzi miei...
Con Pannella abbiamo abitato insieme parecchio tempo. Frequento via 24 maggio che diventa fino al '68 anche la casa dei capelloni, e li l'anno dopo fondiamo la Lega per il divorzio e comincia la non violenza, la disobbedienza civile e la mia stagione, i miei 2-3 anni al Partito Radicale alternando viaggi con the road e
la scoperta delle sostanze, acido in testa, una quantita industriale di Lsd. Ne ho tratto i miei benefici, mi
ha aperto a dimensioni nuove facendomi correre rischi enormi perchè non c'era cultura della sostanza. Vivo
tra le stanze del Partito Radicale, le prime comuni di campagna e di città e per strada. Nel 67 rientro più stabilmente a Roma, e trovo lavoro come correttore di bozze alla tipografia dell'Avanti. Con quei soldi mi
affitto una enorme soffitta nebbiosa d'inverno dietro fontana di Trevi, a via della Panetteria, che ospiterà le
persone del primo Partito Radicale,  Pannella, il suo compagno, e poi Cicciomessere e altri, soffitta che lascio
a Pannella nel '69 perche il Partito Radicale mi sembra a quel punto più orientato al Parlamento che
al marciapiede. Io vivo gli anni del partito da marciapiede. La battaglia per il divorzio fu fatta in piccola parte
in Parlamento, in gran parte per le strade delle città italiane e lì presi  la mia prima denuncia per manifestazione
non autorizzata, la prima delle 137 che mi porterò appresso fino al mandato di carcerazione e poi l'amnistia. Lascio il partito nel '69 e lascio la casa a Pannella che poi se l'e comprata. Faccio il '68 a Roma, vado qualche volta a Milano, sempre in autostop. Frequentavo i capelloni, facevamo il cazzo che ci pareva
e a differenza dei dirigenti del Movimento che si imponevano la musica popolare, noiosa, Giovanna Marini,
Pino Masi, ci facevamo le canne, gli acidi e la nostra musica. Capimmo già allora che qualcosa non funzionava, che il nostro contributo al '68 era marginalissimo, che certe spinte autoritarie, guerrigliere, si addensavano soprattutto a Roma e Milano, per cui cominciammo non solo a scambiarci i giornali che ci arrivavano da Amsterdam, Parigi, Londra, ma decidiamo di riprodurre e far uscire con una unica sigla i materiali che amavamo. Molti non erano d'accordo, in 4 o 5 decidiamo che ci saremmo chiamati Stampa Alternativa, dall�' alternative press statunitense. Il materiale piu importante in quegli anni era soprattutto americano, manuali di sopravvivenza, per costruire, per mangiare, dormire, viaggiare. Ci nutrimmo di quei
materiali e delle musiche dei Jefferson, dei Grateful Dead, Dylan, Donovan. Leggevamo e poi tra di noi
ci passavamo le informazioni in ciclostilati o col passaparola. Il primo libro, visto che coltivavamo tutti, fu
il Manuale della coltivazione della marijuana, 4-5 milioni di copie  stampate nell'arco di 5 anni. Lo tirai
giù su fogli ciclostilati su entrambi i lati al ciclostile radicale, trafugato in  una parrocchia. Era un Olivetti, fece
milioni di copie.
Un cilostile Olivetti? 
Si, la Olivetti fornì a tutte le parrocchie dei ciclostili formidabili, e uno di questi per qualche giro strano fini
al Partito Radicale. 
Come sei diventato giornalista?
Nel 1967 Pannella mi consenti di registrarmi come pubblicista, pur non avendo io mai scritto nulla, permettendomi di firmare a mio nome i suoi articoli. Questo perchè potessi fornire servizi all'underground e
non. Quella registrazione mi consentì di dirigere la prima rivista omosessuale, il Fuori (Fronte Unito
Omosessuali Rivoluzionari Italiani, ndr) di Angelo Pezzana, e di dare la mia firma per le prime fanzine, i
giornali ciclostilati degli hippie, i figli dei fiori.
Ho letto da qualche parte che hai lavorato al ''Mondo'' di
Pannunzio...

Sì, e stato negli anni '60, sono andato li per curiosita - la stessa curiosita  per le novita culturali, esistenziali,
che mi porto all'Astrolabio a diventare intimo di Parri. Al Mondo, come i radicali, mi insegnarono la
tolleranza.
 ALIAS N. 1 - 8 GENNAIO 2011




«Il futuro non è abbandonare il libro di carta, ma dare
il primato al libro elettronico. Nella mia visione, nella nuova
stagione di Stampa Alternativa c’è il libro senza copyright»


Stampa Alternativa compie 40 anni. Il suo fondatore, Marcello Baraghini, racconta di sé

e della tumultuosa storia della casa editrice. Tra i suoi ricordi l’aiuto che diede alla nascita del «manifesto».



Che facevi al «Mondo»?

Pulivo i cessi, facevo il facchino ma questo mi permetteva di osservare questa scuola di giornalismo, vedere

giornalisti che poi divennero famosi, Forcella, Barbato per esempio, costretti da Pannunzio a riscrivere

lo stesso articolo due, tre, quattro volte fino a essere disperati, in lacrime.

Io mi facevo gli acidi però mi piaceva quel giornale strano, borghese, anche se parecchie cose non mi «tornavano». Ci restai pochi mesi. È lì che conobbi Andrea Barbato con il quale facemmo in quel 1970

due cose, una delle quali riguarda il manifesto. A quel tempo campavo correggendo bozze, con 60 mila lire

al mese. Correggendo le bozze mi innamoro del corpo del libro, della materia del libro. I proto, i linotipisti

nella tipografia dell'Avanti erano compagni, e in molte ore morte appresi molto del socialismo, anche

l'amore per il piombo, e divenni bravissimo a chiudere i giornali in tipografia.

Fu lì che decisi che da grande avrei fatto l'editore. In quell'anno mi chiama Luciana Castellina a il manifesto, e in quell'anno fondiamo con Barbato, Curzi e Ceschia, che ne diventa segretario, il Movimento dei giornalisti democratici. Lì conosco Luciana Castellina come giornalista democratica che mi dice: «al manifesto siamo tutti giornalisti e nessuno ne capisce di tipografia, dacci una mano a chiudere il giornale in tipografia». C'eravamo

io e Trevisani, il grafico, in quei primi mesi. Andò tutto benissimo, salvo il continuo patema di chiudere il

giornale in tempo. Furono 6-7 mesi molto intensi, poi lasciai, ci andavoogni tanto, non prendevo una lira

naturalmente. C'erano stipendi politici,60 mila lire e 30 mila per il mezzo tempo. La difficoltà più grande

era quando avanzava una parola ai fondi di Luigi Pintor. Non riuscivo a tagliare... quella colonna di Pintor

era talmente elaborata, studiata, oltre che efficace, che non mi fu mai possibile tagliare un righino, cosa

che facevo con tutti gli altri con loro totale fiducia. Come giornalisti democratici espugnammo la Federazione della stampa, dove poi sarei dovuto andare a consegnarmi,ma invece mi diedi latitante, quando nel 1976 ebbi il mandato di carcerazione...

Il mandato di carcerazione per cosa era?

Per apologia dell'obiezione di coscienza, 13 mesi, e per apologia dell'aborto,18 mesi. Il 1970 è stato un

anno mitico, con l'entrata in vigore della legge sul divorzio, la nascita del Movimento dei giornalisti democratici, del manifesto e di Stampa Alternativa.

La mia prima condanna fu per un volantone davanti a un distretto militare di Roma, che incitava

all'obiezione di coscienza, che era fuori legge. Vado io perché ero militesente, quindi non c'era l'alibi

del «tu non vuoi fare il servizio...». Mi blindano, mi picchiano, mi portano al secondo distretto e al processo

mi danno 13 mesi, primo secondo e terzo grado. Appena finito il terzo grado scatta la denuncia per Contro

la famiglia, sequestro del libro, processo, 18 mesi senza i benefici. Il che significava che i 18 mesi diventavano

esecutivi in primo grado, per cui sommati ai 13 precedenti,  scatta il mandato di carcerazione.

Con Guido Blumir bandimmo una conferenza stampa per consegnarmi alla polizia nella sede della  Federazione della stampa. Invece mi diedi latitante. Era il 1976, anno di piombo estremo, vado in giro per

l'Italia, un po' al sud, un po' al centro e dopo un po' i vari compagni che mi ospitano mi dicono «guarda,

per favore, datti...», fino a che arrivo a Sorano dove ritrovo vecchi amici degli anni '60 che avevano da tempo

lasciato la città per andare a vivere in campagna. E vengo accolto, protetto.

Quante denuncie hai collezionato?

Avevo 4 avvocati che mi difendevano gratis, e non bastavano, a fronte di 137 procedimenti per reati di opinione e per i diritti civili. Le fanzine che uscivano a mia firma, oltre ai nostri libri, provocavano continuamente denunce per apologia di reato. Tutti reati di opinione, non c'era banda armata: tutte le testate della lotta armata in Italia mi hanno chiesto di fare il direttore, ma ho rifiutato sistematicamente sostenendo

che ognuna di queste testate aveva giornalisti in seno, e io davo la firma a coloro che non avevano giornalisti.

E poi c'era una mia irritazione verso la sponda violenta, essendo allora e continuando a essere un non violento, la scuola di Pannella mi ha convinto delle ragioni della non violenza.

Ricevi ancora denunce?

Ora ci sono le querele, per diffamazione. Ormai il regime è peggio di  quello fascista dice Pannella. Il libro

che mi portò al mandato di carcerazione, Contro la famiglia, era un manuale che spiegava come un minorenne

poteva, avendo subito violenze in famiglia, avviare un percorso alla luce del sole per arrivare alla revoca

della patria potestà.
In base a cosa? 
Al Codice Rocco, il codice fascista... pensa al paradosso. Sono orgoglioso della prima condanna per apologia dell'obiezione di coscienza, quella manifestazione probabilmente avviò il percorso che portò al servizio civile. Subito dopo infatti fu fondata la Lega obiettori di coscienza, ma ci voleva quella scintilla. Ora picchiano con le querele, non hanno problemi di denaro e quindi la democrazia muore. Se non ho la possibilità di difendermi dalle querele perché mi spolpano vivo, o perché gli avvocati costano troppo, e metto per primo perché gli avvocati costano troppo, muore la democrazia in questo paese.

Sei stato il primo a pubblicare
in Italia qualcosa di Albert Hofmann...

La mia idea è che per capire le sostanze che accompagnano la mia vita e la vita di Stampa Alternativa devo

far parlare gli scopritori di quelle sostanze, in primis Hofmann. Con un «Millelire» faccio parlare lo scopritore

dell’Lsd: pubblico Viaggi Acidi - tiratura mezzo milione di copie - che è un estratto del suo Lsd il mio

bambino difficile. Non avevo i soldi per pubblicare tutto il libro. In seguito riuscii a realizzare un mio grande

sogno e feci venire Hofmann in persona per una serata alla biblioteca Sormani di Milano, con un’aula gremita

di punkabbestia e ricercatori del Cnr, metà in piedi abbrancati ai muri, e non volò una mosca. Lui venne in treno, andammo a prenderlo alla stazione, m’aspettavo un 90enne stanco, niente, tranquillo. Il giorno dopo io e Roberta, la mia compagna allora, lo accompagnammo a Lodi da un suo amico ricercatore di quando aveva lavorato nei laboratori della Roche di Lodi. La strada era affollatissima, ci mettemmo un’ora e mezza e lui ci raccontò tutto il suo ‘900, lui studente, lui poco più che bambino, le guerre, il nazismo, una lezione di storia... e a un certo punto chiede a Roberta di inchiodare, di fermare la macchina, noi pensiamo che deve andare in

un bar a fare pipì, invece andò a comprare un mazzo di fiori per Roberta.

Era così Hofmann. La mia idea è stata: i miei miti li invito a casa mia. In modo che non devo andare

io da loro, giro poco, ho smesso di girare dopo gli anni ’60. Questa è la mia idea, ospitarli e accoglierli alle

mie condizioni, che sono di estrema povertà... budget da aerei a pedali.


Torniamo in Maremma...

Nel 1976 approdo in Maremma, latitante. L’anno dopo c’è l'amnistia e fondo con altri compagni la cooperativa Terra Rossa, per avere in adozione un terreno dell'Opera Pia di Pitigliano che si chiamava Terra

Rossa. Non ce lo danno, perché il Pci fa la guerra alla cooperativa Terra Rossa. Mi riprende voglia di fare

libri e fondo la seconda Stampa Alternativa, quella dei libri per la libreria. I primi libri me li faccio da solo,

li vado a stampare a Terni in pullman o in treno, ne porto un po' di copie a Roma alla libreria L'Uscita e

da Feltrinelli, dove intercetto anche Giangiacomo... finché vanno talmente bene che lancio un appello

per darmi una mano. Dei vecchi amici figli dei fiori accetta solo il mio attuale amministratore delegato

della società che gestisce i libri di Stampa Alternativa, si chiama Nuovi Equilibri, che nei primi '80 esce

dalla sua comune, lascia la sua casa di campagna, viene a fare l'organizzatore e ci impiantiamo a Viterbo.

Continuo ad abitare in Maremma, faccio il pendolare con Milano dove avevo un piccolo ufficio in via Zecca

Vecchia, era la sede dei primi radicali e della prima Lega per l'aborto, quella di Adele Faccio e Emma

Bonino. La casa editrice ha varie fasi, invento i libri «Millelire», che è la fase più tumultuosa, fino a che arriviamo alla nuova Stampa Alternativa che rimane in libreria prevedendone la fuoriuscita non perché non

ci vogliamo rimanere ma perché non ci fanno restare. Ci stano cacciando, Feltrinelli non vuole i «Millelire

» perché ci guadagna troppo poco e perché i contenuti non sono quelli dell'establishment. Ci sono due fatti da rilevare successi in questi anni: primo Berlusconi che rapina Mondadori, col dolo, c'è ancora il processo. Lui e gli uomini del suo marketing, prima Tatò, poi Gian Arturo Ferrari, cambiano le regole, che sono quelle intanto di espellere la qualità dai loro cataloghi, poi sovietizzare all'incontrario e indirizzare le loro grosse case editrici - e sull'onda  le altre si adeguano - al consumismo più becero, più acritico, i Camilleri, i Moccia. Le regole vengono poi imposte anche alla catena distributrice. La seconda disfatta è quella della critica letteraria, asservita. Negli anni '70, '60 i critici erano di parte ma onesti, il lavoro per cui erano pagati lo facevano. Ora è una critica pagata dalla grossa editoria, che non lascia una riga agli indipendenti. In questa situazione è chiaro

che non sto ad aspettare che mi sparino alla tempia, e prevedo una nuova Stampa Alternativa per i prossimi

40 anni, rimanendo in libreria col coltello tra i denti.


La rivoluzione dei «Millelire» è stata di portata planetaria, e uno immaginerebbe che  «Stampa Alternativa» abbia fatto soldi a palate... Abbiamo venduto 22 milioni di «Millelire», ma devi considerare che la filiera che porta il libro in libreria si becca il 70%. Sì abbiamo avuto un boom in quegli anni, da un fatturato di 600 milioni passammo a 3-4 miliardi nell'arco di un anno o due, però fummo cattivi organizzatori, non avevamo cultura

d'impresa, e tutto si sgonfiò improvvisamente,quando entrò Newton Compton a proporre cattivi «Millelire

». I librai cacciarono via noi per accogliere quei «Millelire» con la copertina a colori e 100 pagine. Per

noi fu una disfatta, rifondai la casa editrice con una serie di nuove collane, soprattutto Eretica. Quella collana

supereconomica della Newton Compton è poi fallita, invece nonostante Feltrinelli rifiuti i «Millelire»

perché abbassano lo scontrino medio, ora siamo tornati in classifica, per quello che valgono le classifiche,

siamo al primo posto dei supereconomici. Abbiamo sempre navigato su un binario doppio, qualità e

prezzo, solo che quando ho il 70% del prezzo di copertina che va alla filiera distributiva e i soldi delle poche

o delle tante copie vendute ci arrivano dopo che abbiamo dovuto pagare tutti, vuol dire che siamo

ostaggio delle banche, che ora stanno chiudendo i rubinetti e pare non vogliano più anticiparci i soldi

per la carta. E allora ecco la nuova stagione di Stampa Alternativa, prima che sia troppo tardi, che parta il

colpo, come in quella famosa foto del vietnamita inginocchiato col generale che gli sta per sparare alla

tempia. Noi siamo editori in ginocchio piegati alla fascistizzazione dell'editoria. La grossa editoria e la

grossa distribuzione hanno fascistizzato la cultura libraria, la letteratura, la saggistica. Una possibilità

per il futuro è che il libro esca da questo mercato per riproporsi in  un mercato parallelo, con altre modalità.

In due parole, il libro elettronico e l'abolizione del copyright. Si è concluso da poco l’VIII° Festival

internazionale di Letteratura Resistente organizzato da «Stampa Alternativa»... È stato aperto da tre donne, una verduraia, una contadina e una donna di Scansano. Franca Piccini ha un negozio di verdure a Sorano e scambia ricette con altre donne. Da questo scambio è nato Il quaderno di Franca, è un quaderno dove lei ha

raccolto le sue ricette e quelle delle altre donne del paese. Quindi un libro di popolo, scritto dal popolo,

che il popolo ha premiato comprandone, all’edicola di Sorano, quindi nell'arco di una piazza fisica, mille

copie. Il che vuol dire un libro a chilometro zero. Poi c’è il libro di una contadina che racconta la sua infanzia,

il padre minatore che muore in miniera, lei che viene adottata dalla padrona della miniera non per beneficienza

ma per farla diventare sua serva... racconta una stagione della sua vita con la sua lingua, e diventa per questo scrittrice. Non è Camilleri, non è Baricco, è la verduraia, la contadina, la carbonaia, che si raccontano e usando la loro lingua diventano scrittrici. Questo VIII° festival, itinerante tra Sorano, Montebuono, Pitigliano con 6-7 eventi nell'arco di due giorni, tratteggia il futuro, che è fatto da una parte dal libro a km. zero, del ritornare al comprensorio o addirittura a una strada, una piazza, una bottega, perché lì può succedere la piccola rivoluzione culturale di quel territorio. Si reintroduce cultura a partire dalla vita degli ultimi, degli umili,

dei senza voce, che la voce ce l'hanno ma non hanno letteratura. E l'altra è il libro elettronico. Il futuro secondo me non è abbandonare il libro di carta, ma ripartire dando il primato al libro elettronico, che nella

mia visione della nuova stagione di Stampa Alternativa è quella del libro privo di copyright. Finalmente

dopo 40 anni posso esaltarmi con un progetto che azzera la proprietà sul libro di qualità, che deve essere

consegnato su internet all'umanità. Tenendoci pronti noi, in seconda battuta, a proporlo su carta e a offrirlo

a un prezzo calmierato grazie alla mancanza di intermediazione. Se non ho intermediazione questo libro

che dovrei far pagare 18 euro, lo posso vendere a 9, a 6 euro. Lo snodo è questo, lo offro gratis su internet

in quantità illimitata, nella convinzione che chi lo legge poi lo vuole anche acquistare, perché ne vuol

far dono o lo vuole avere nella sua biblioteca. Se vai su www.riaprireilfuoco.org, trovi nostri libri già leggibili

e scaricabili gratuitamente. Il nomedel sito viene dall'ultimo libro di Luciano Bianciardi. Sto delineando

un percorso che non è antagonista al passato, è valore aggiunto. Io continuo, resisto coi libri con i codici a

barre perché è la mia storia, però prevedo un futuro fatto sempre più di libri che non si troveranno in libreria,

saranno consegnati all'umanità gratis, scaricabili e leggibili, con una opzione: amico questo libro è disponibile anche su carta, con la qualità di Stampa Alternativa, e te lo posso proporre a metà del prezzo che troveresti in libreria (ma che non trovi più perché non c'è) perché non ho più le spese di distribuzione, che regalo a te, non le monetizzo. Uno dei nostri slogan è «dal libro sfinito», quello dell'editoria attuale,i best seller, le fighe, le tette, i Camilleri etc. «al libro infinito» e ai nipotini scellerati dei «Millelire», i «Bianciardini», in onore a Luciano

Bianciardi. Sono libri senza codice a barre che costano «almeno un centesimo», proposti su internet, sono
racconti, saggi, in foliazione minima, 16 pagine. «Almeno un centesimo » significa che non ne spedisco
uno alla volta, solo il francobollo costa 60 centesimi, ma 100 alla volta. La proposta è: te ne mando 100 poi

fanne quello che vuoi, non c'è ricevuta, non c'è resa, tu diventi distributore e quando vuoi mi mandi in

busta qualcosa del ricavato. Il miracolo è che dopo centinaia di migliaia di copie dei primi titoli, per la prima

volta nella mia storia editoriale ho i soldi per la carta per i prossimi libri. Chi riceve il pacco da 100 copie,

incassa talmente tanti soldi che raramente manda solo un euro, la media è 5,10 euro, i lettori diventano

complici, appassionati alle iniziative. L'idea è quella di un editore diffuso, dove ognuno è editore. Non è

Stampa Alternativa che cambia pelle, continua a fare quello che ha sempre fatto ma apre una strada - si

chiama Strade Bianche - di sperimentazione, in previsione di una crisi di presenza in libreria, attraverso

internet e la responsabilizzazione del lettore che diventa distributore e promotore e finanziatore. Internet

è il gommone, la ciambella di salvataggio, il cavallo di Troia per diffondere e comunicare... Ma c'è

una totale divergenza con quanti lavorano sugli eBook, i libri elettronici, loro vogliono farli pagare poco

meno di quelli cartacei, è una truffa, una grande truffa come con la musica, te ne regalano un po' per

farti poi comprare il cofanetto con le firme... no, io dall'inizio voglio proporti un patto di guerriglia.


Come sai «il manifesto» sta attraversando un momento molto difficile…

Forse è una battuta, ma rinunciate ai soldi pubblici. Nel 1970 era la follia al manifesto: io facevo un po' di

ore su da Michele Melillo per preparare la chiusura in tipografia, arrivavo alle tre e vedevo arrivare una

quantità di compagni e una quantità di soldi in busta che finanziavano il giornale. Il giornale non aveva soldi,

io andavo alle assemblee dei giornalisti democratici, gli spiegavo che noi del manifesto facevamo un quotidiano senza soldi e si mettevano a ridere. Il giornale uscì e si affermò. Era un giornale di popolo, oggi che

giornale è? Comunista? Ma che vuol dire? Io parto dalla morte delle ideologie, il manifesto rimane aggrappato

a quella dicitura, ma dov'è il popolo? Il mio suggerimento è provate la sfida finale prima di morire, rinunciate

ai soldi pubblici, ripartite da zero, rinfocolate con i contenuti e con la passione quello che avete

fatto tanti anni fa. Giocatevela questa sfida piuttosto che aspettare che tolgano l'ossigeno. Ricominciate a

provocare. Io sto cercando di fare esattamente questo nel mio piccolo. Se continuo a crogiolarmi, a dirmi

che sono bravo, che faccio i libri migliori, che costano di meno, muoio tra un anno o due. Ma non sono

rassegnato, anzi prevedo uno scenario futuro che non è mai stato così promettente per me che sono ancora

indignato, incazzato, esasperato ma che ho voglia di lottare, di scontrarmi frontalmente, e comincio da

alcuni simboli: per il manifesto è il finanziamento pubblico, per me è il codice a barre.

ALIAS N. 1 - 8 GENNAIO 2011

LA SUA BIOGRAFIA LA TROVI ANCHE SU WIKIPEDIA

JACOVITTI

Jacovitti

l’anarchico della matita rivive in Rete

ZorrykidCi sono alcuni personaggi che hanno lasciato un segno indelebile nella cultura italiana del Ventesimo secolo, pur rimanendo per tutta la loro carriera assolutamente incategorizzabili e fuori dalle correnti di pensiero dominanti e dai giochi della politica.
Stiamo parlando di figure essenziali come Federico Fellini, Achille Campanile o Aldo Palazzeschi, e fra queste c’è anche Benito Jacovitti. Fumettista fra i più prolifici della nostra tradizione, i suoi lavori bizzarri e surreali sono stati onnipresenti per tutta la seconda metà del secolo scorso, infettando le pagine delle riviste che ne ospitavano le tavole con uno stile ricchissimo di particolari ma semplice e quanto più possibile “fumettoso” allo stesso tempo, con il suo umorismo anarchico e nonsense.
Inutile qui fare un elenco dei personaggi creati nel corso della lunghissima carriera, per uno sguardo d’insieme sulla vita e sui lavori dell’autore è più pratico leggere la biografia preparata da Comicsblog:
Benito Franco Iacovitti nasce a Termoli, in provincia di Campobasso, il 9 marzo 1923, la J sostituirà la I nel suo cognome appena iniziata la carriera artistica. Adolescente si iscrisse al liceo artistico di Firenze dove disegnò le prime vignette per i suoi compagni, Franco Zeffirelli era uno di questi; e per guadagnare qulcosa iniziò a disegnare caricature, prima per i soldati tedeschi, e alla fine della guerra, per i soldati americani. Iniziò a Firenze la collaborazione con il settimanale umoristico Il Brivido e con il famoso giornale per ragazzi Il Vittorioso, che lo vide pubblicare fino al 1967. Nel 1946 si trasferì a Roma,dove conobbe e collaborò con Marchesi, Metz, Fellini, Mosca, Steno, facendo i ritratti e caricature per gli americani. Erano i disegnatori del Bertoldo e del Marc’Aurelio, i giornali di satira dei primi anni quaranta, sempre nella capitale iniziò la realizzazione del ‘Diario Vitt’ per la casa editrice A.V.E. Dal 57 al 67 lavoro’ al supplemento ragazzi de Il Giorno, ed e’qui che il 28 marzo del 1957 nacque Cocco Bill. Diventato un disegnatore di fama, Jacovitti collaborò dagli anni ‘60 fino alla fine degli anni ‘80 con numerose riviste, tra cui si possono citare: Linus, l’Europeo, il Male, Cuore e Tango. La sua produzione, caratterizzata da uno stile grottesco e caricaturale, ha spaziato negli anni dal fumetto per ragazzi al genere erotico, dalla pubblicità ( i famosi carosello) alla satira politica, smarcandosi sempre rispetto ai luoghi comuni e agli schieramenti più seguiti.
L’opera di Jacovitti sta negli ultimi anni tornando sotto alla luce dei riflettori grazie al dignitosissimo recupero svolto da Stampa Alternativa, che ha riportato in libreria molti dei lavori più importanti del fumettista, spesso con introduzioni dettagliate e apparato critico che aiutano a contestualizzare al meglio le opere.
Sono due le ragioni che – già da prima della sua scomparsa – facevano sì che questo autore non venisse granché considerato, o venisse dato per scontato, dai più: la mancanza di ristampe di buona qualità (a parte alcune pubblicazioni di lusso per appassionati) e un’errata interpretazione della sua figura, troppo spesso considerato un fumettista “di destra“. Sono fatti che vengono sottolineati anche dall’esperto di comics Andrea Voglino, nel commentare una raccolta uscita di recente:
In gioventù, non è che Jacovitti mi sconfinferasse più di un tot. Troppo legato alle interminabili mattinate bruciate sui banchi di scuola, e dopo quelle alla nomea di autore “di destra” che il nostro sfoggiava con nonchalance. Ma anche troppo prolifico: a metà degli Anni 70, Jac sfornava idee, personaggi, strip, libelli e libroni a getto continuo, e sfuggire alle sue mattane cicciose era praticamente impossibile. Un po’ come oggi riuscire a rimettere mano su tutto quello che il pagliaccio di Termoli ha prodotto in una carriera durata dal ventennio al nuovo millennio. Un’impresa complicata dalla quantità della produzione jacovittiana […]ma anche dalla qualità delle ristampe, spesso tutt’altro che eccelsa. Per fortuna, ogni tanto qualche editore prova a metterci una pezza. Vedere, per credere, Beppe & Co. di Nicola Pesce Editore, in tutte le librerie specializzate a € 17,90: una ricca raccolta delle satire sociali interpretate dall’anonimo signore con baffi a spazzola e cappello creato dal Benito nel decennio dell’austerity e delle stragi di stato.


Per capire al meglio le caratteristiche fondamentali dell’opera di Jacovitti, ma anche il perché dell’incomprensione che per decenni l’ha fatto etichettare sotto determinate fazioni politiche, risulta di grande aiuto uno sguardo sulla personalità eccentrica e fuori dai ranghi dell’autore stesso. Risulta quindi utilissimo il ricordo di Fabrizio Mazzotta, che racconta un incontro di ormai diciassette anni fa:
Era il 1993, non proprio pochi mesi fa, e grazie a un amico riesco a mettermi in contatto con Benito Jacovitti che, peraltro, abitava a poca distanza da me. L’occasione era troppo ghiotta: passare un pomeriggio con uno dei più grandi autori del fumetto! Lo stesso Jac che leggevo sulle pagine del “Corriere dei piccoli” e di cui ammiravo il genio e la sregolatezza, nonostante la mia giovanissima età. Insieme ad altri appassionati di fumetto chiediamo a Jac se ci concede un intervista per FdC e lui è ben lieto di accettare. Intervistarlo non fu facile: quando inizia a parlare è un fiume in piena di parole, aneddoti ricordi e facezie varie. Col senno di poi forse non tutte erano veritiere, forse si divertiva garbatamente a prenderci in giro inventando storie fantastiche e incredibili proprio come ha sempre fatto disegnando i fumetti in maniera particolare, con lo stile che contradistingue l’artista dall’artigiano. Un vero artista “folle” e geniale anche nella vita! Fa gli scherzi per citofono, fa le linguacce, parla delle donne con l’entusiasmo di un adolescente e continua a fumare sigari marca Apostolado. ” Io ho quattro nomi, tutti da dittatore _ dice _ Benito, Franco, Giuseppe e Antonio ( del Portogallo). Ci mancava soltanto che mio padre mi mettesse nome Adolfo!”
Questo riferimento nel ricordo di Mazzotta ci introduce nelle parole stesse del fumettista il tema politico. Al particolare del nome di battesimo si riallaccia anche Roberto Alfatti inquadrando più precisamente l’autore nel panorama storico e politico dell’epoca:
Suo padre, che l’aveva battezzato Benito, era certamente un fascista, ma lui nel 1940, quando cominciò a disegnare professionalmente, aveva meno di diciassette anni e già era più che fascista… un irregolare. Era cioè un qualunquista antemarcia. Con un’intera epoca storica in anticipo su Guglielmo Giannini, che fondò prima il settimanale L’Uomo qualunque e poi l’omonimo movimento politico solo alla fine del 1944, il giovane Jacovitti in realtà diffidava della politica fin dal 1940. Quando disegnò per il giornaletto cattolico il Vittorioso la storia di Pippo e gli inglesi, la prima avventura di Pippo, Pertica e Palla, già non riusciva a prendere sul serio nemmeno la guerra che era sul punto di scoppiare. (…) Jacovitti non fu un seguace ma un allegro eretico del qualunquismo, come Guglielmo Giannini, il fondatore dell’”Uomo qualunque”, giornalista e commediografo, nonché portatore di monocolo, aveva battezzato una weltanschauung vecchia come il mondo. Ma Jacovitti, diversamente da Giannini, aveva capito l’essenziale anche della critica alla partitocrazia, cioè che costa più di quanto renda e che anche il qualunquismo, alla lunga, è politica. Non a caso Goffredo Fofi ha accostato Jacovitti agli scrittori che ci hanno spiegato la grande truffa italiana del secondo dopoguerra, «con occhio acutissimo e con più profonda saggezza di altri, troppo ideologici: Savinio, Alvaro, Brancati, Moravia, Flaiano». Ai quali potremmo aggiungere anche Leo Longanesi, Stefano Vanzina, Federico Fellini o Mino Maccari… Come anche il grande Achille Campanile, come Giovanni Mosca, come Giovannino Guareschi, Jacovitti era sì un umorista ma anche un po’ un filosofo. (…) Agli occhi di Jacovitti l’ideologia, quale che fosse, quella dei vinti come quella dei vincitori, era pappa di gesso, e se ne prendeva ferocemente gioco. Jacovitti non si lasciava incantare dalle autocritiche né dalle esaltazioni reciproche. Rubricava tutte queste penose metamorfosi dell’ideologia alla voce “Eia Eia baccalà”. O alla voce “raglia, raglia, giovane Itaglia”, che gli costò la sospensione del fumetto antipolitico a puntate che gli era stato commissionato da Linus, il giornalino del Sessantotto caviar.
Ancora nell’intervista di Mazzotta, Jacovitti ribadisce in maniera non dissimile le sue posizioni ed anche le sue frequentazioni illustri:
E’ famoso il suo periodo a “Linus” dove venne addirittura censurato! ”Il personaggio di Gionni Peppe non me lo censurò la redazione ma i lettori che mi hanno accusato di essere fascista. Creavo delle situazioni contro l’ultra sinistra e l’ultra destra; infatti io sono un liberale, un estremista di centro! Ho ricevuto molte lettere di minacce dalla sinistra e delle telefonate con minacce di morte dall’estrema destra fascista: Ma io gli rispondevo sghignazzando e loro minacciavano di farmi la pelle. Venite pure! _gli rispondevo _ Ne ho tanta di pelle!” …”Ma dopo la guerra, nel 1946, ho progettato tanti giornali insieme a un gruppo formato da Age, Scarpelli, Metz, Fellini… Magari duravano solo due o tre settimane e poi fallivano. Ne ricordo uno , il “Don Basilio” ( al quale però non ho collaborato) che era un giornale anti clericale ed è durato due anni. Dopo la guerra l’Italia era divisa in due parti: il Fronte Popolare e la parte cattolica, cioè la Democrazia Cristiana. Poi c’era un piccolo partito: il partito dell’Uomo Qualunque” che è citato anche nella mia storia ” Battista l’ingenuo fascista”. Lui tenta di entrare in diversi partiti ma non ne trova nemmeno uno che faccia al caso suo. Una storia attuale.
Lo stesso racconto, risalente all’immediato dopoguerra, viene citato anche da Luca Boschi commentando il saggio Fumetti e Nazifascismo di Pier Luigi Gaspa uscito lo scorso anno. In quest’occasione le parole di Jacovitti sono di intransigente condanna, non solo del fascismo in sé ma anche e principalmente verso chi segue ciecamente l’una o l’altra parte:
Per commentare le parole di Pier Luigi, posto un po’ di vignette di quel genio creativo che fu Benito Jacovitti, tratte dal più volte citato, ma semisconosciuto episodio Battista l’ingenuo fascista. Paradigma del pressappochismo e voltagabbanismo tutto italiano che… fa male quando qualcuno ha il coraggio di metterlo su carta, trasformandolo in uno specchio deformante che non tutti sono disposti a digerire. Jac non lo manda a dire, e si rivolge direttamente al lettore italiano quando ne fustiga l’ipocrisia apostrofandolo in modo solenne e tragico: “Guarda bene tra la folla acclamante, ti riconoscerai! Tu mi dirai che sì, ci sei stato, ma capirai… La cartolina rossa… Ero costretto. … Ma come?! 45 milioni di italiani costretti? (…)”
Non stupisce quindi che, interpellato nel 1992 in occasione della ristampa in formato maxi di alcune storie degli anni settanta, l’ancora attivissimo Jacovitti dicesse: “Io sono un estremista di centro. Odio tutte le dittature, di qualsiasi colore. Pensi che, quando posso, leggo Anarchia, che si trova solo nei centri sociali. Io amo la vera anarchia, quella delle origini, quella che amava il popolo“.
A forza di sottolineare le sue posizioni, si rischia però di far sembrare che la componente politica e sociale fosse quella predominante nei lavori di Jacovitti. In realtà questa caratteristica non è che conseguenza di quel voler stare per forza fuori da ogni seminato che contraddistingueva la personalità dell’artista, ed è proprio questo che determina anche il suo senso dell’umorismo surreale e il suo tratto riconoscibilissimo ed altrettanto improbabile. Nel blog di Bartolomeo Di Monaco troviamo un’analisi a tutto tondo di Jacovitti risalente al 1970, tratta dall’Enciclopedia dei Fumetti pubblicata da Sansoni, che sottolinea proprio queste caratteristiche sapendone cogliere sia i lati positivi che i primi segnali dell’inevitabile ma naturale declino che avrebbe caratterizzato i suoi ultimi anni:
Nemico dichiarato degli spazi bianchi, infarcisce le sue tavole di personaggi di tutti i tipi, in una ordinata confusione di grande effetto. Il suo umorismo è fatto di bat­tute spesso facili, ben lontane dall’intellettuali­stico impegno della scuola americana. Strisce per sorridere e non per riflettere, quindi, per un divertimento fine a se stesso, ma non per questo meno gradevole. (…) Con la sua sbrigliata fantasia Jacovitti spesso ricerca nella cronaca quotidiana gli spunti per le sue affollate e sor­prendenti storie. Indubbiamente possiede uno spiccato senso della parodia, dell’imitazione grot­tesca, della graffiata impertinente: reinterpreta, attraverso il filtro dell’umorismo, la realtà che lo ha ispirato, cogliendone sotto forma di caricatura gli aspetti emblematici. Negli ultimi anni Jacovitti ha perso in parte questa sua capacità di scavare negli avvenimenti, parodiandoli. Tuttavia gli è rimasto immutato il legame con la realtà quotidiana, rivissuta con trascinante fantasia. Forse il suo non è più un umorismo che giudica, ma si limita a raccontare, senza impegno, tra scoppiettii di battute e di personaggi, la vita. Il mondo di Jacovitti è un mondo solo suo in quanto egli lo rappresenta con uno stile personalissimo: acutamente Carlo Della Corte ha scritto che « piaccia o no, Jacovitti ha creato un tipo di fumetto esclusivamente suo, a sua immagine e somiglianza, infischiandosene di tutti i canoni e di tutti i distinguo enunciati dai più sottili esteti».
Quest’ultimo parere riecheggia in quanto scritto quasi quarant’anni più tardi, in un post del blog di Stampa alternativa del 2009:
Benito Jacovitti è un autore importante del nostro fumetto, dotato di stile originale fatto di horror vacui, terrore assoluto per la pagina bianca che tempesta di salami, vermi, cactus, teschi di animali e improbabili intermezzi comici. Un autore che ha rappresentato la nostra fanciullezza, ma che sprizza modernità da ogni pagina.
In fin dei conti la caratteristica più visibile di questo talento irrefrenabile e stakanovista della matita altro non è che l’horror vacui: quel dover riempire a tutti i costi ogni angolo delle sue tavole è la chiave per comprendere lo stile grafico di Jacovitti ma anche, come leggiamo in una frase riportata da Graziano Origa, la sua psiche. Queste infatti le parole sorprendentemente sincere del grande umorista:
«Fui, sono e sarò un clown. Continuerò a disegnare nell’aldilà. Ho paura del nulla. Quando cominci a capire che di là non c’è nulla, inizia la paura. Quando cominci a entrare nel nulla…Questo mi fa paura»
Un’indole da discolo, da burlone, che non era capace di smettere di disegnare né di farci divertire, facendoci capire che l’assurdo è evidente in ogni cosa. Un talento che creava universi con la matita, e che oggi possiamo finalmente riscoprire.

da stampalternativa 
(Questo articolo è stato pubblicato su Liquida Magazine)

UNA YURTA IN MAREMMA

LA YURTA
 Guida per costruirsela



Se i dintorni di Ulan Bator, capitale della Mongolia, pure in epoca di inarrestabile urbanizzazione sono pieni di yurte, significa che queste non sono solo un tipo di tenda  vecchia di due millenni, ma soprattutto un modo di abitare. E un suo progetto che affonda nei secoli è straordinario. La stabilità è garantita da una risorsa inesauribile e gratuita : la forza di gravità; inoltre essa è ad impatto zero o addiririttura positivo sull' ambiente circostante.

Oggi la yurta fa la sua comparsa  nei campeggi e nelle campagne, i suoi utilizzatori scoprono con sorpresa la poesia, la cultura  e il genio inventivo di un popolo tenacemente nomade : i mongoli.

Al di là delle proposte commerciali, questo sintetico manuale si propone di far nascere nel lettore la 'voglia di costruirsi da solo una yurta di tre metri di diametro.


Edizione speciale in occasione della 30°mostra mercato Sorano 13-21  agosto 2010




millelire stampa alternativa


direzione editoriale Marcello Baraghini
redazione Alvaro Romei
editing grafica e impaginazione Ettore Bianciardi


Marcello Baraghini,e nato 67 anni fa a Civitella di Romagna. 
Vive in una casa in campagna a Elmo, nel cuore del territorio etrusco tra Pitigliano, Sorano e Sovana. Accanto al suo casolare ha da poco costruito una Yurta, la tradizionale capanna mongola e ha pubblicato un manuale che spiega come costruirsi questo economico ed ecologico riparo. Nel 1970 ha fondato Stampa Alternativa. Da 8 anni organizza il Festival Internazionale
di Letteratura Resistente (quello del 2011 sara dedicato alla letteratura yiddish) che ha ospitato
tra l�faltro scrittori e poeti come Gary Snyder, Jim Koller, John Giorno, John Sinclair.

IL LIBRO MIO LO PUBBLICO IO


Questo libro potrebbe essere il manifesto per l’eliminazione dell’editore, il riconoscimento esplicito della sua inutilità pratica e della sua pericolosità sociale.
I grossi editori tradizionali infatti sono all’apice della loro crisi storica: alla ricerca esasperata del massimo profitto per sopravvivere, hanno da una parte portato il prezzo di copertina a livelli insostenibili per il lettore, dall’altra non accettano più rischi industriali, limitandosi a pubblicare libri spazzatura di persone già famose per conto loro.
È sorto allora un altro genere di editori, detti a pagamento, vera e propria calamità sociale: gli autori esordienti che cadono nella loro rete, sostengono un costo esorbitante e fuori da ogni logica per un servizio che si limita alla stampa di poche copie del proprio libro.
Questo manuale libera lo scrittore esordiente da questi due mali e lo indirizza verso la autopubblicazione e la autopromozione del proprio libro, una scelta che sarà sempre più premiante negli anni a venire.
Indica inoltre ai nuovi editori che si presenteranno sulla scena, quale dovrà essere la loro missione: scoprire e far conoscere talenti letterari, cioè quello che i vecchi grossi editori hanno smesso di fare da molto tempo.
Ettore Bianciardi - Marcello Baraghini
IL LIBRO MIO LO PUBBLICO IO
Guida all'autopubblicazione
manuale - pag. 208
prima edizione dicembre 2010
prezzo edizione elettronica € 0,00 prezzo edizione cartacea € 9,00
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IO NON SONO MICA TRISTO







Provoca una strana emozione questa raccolta di lettere d’amore scritte o ricevute da militari italiani impegnati nelle guerre dal 1915 al 1945: quella di scoprire che le cose più desiderate in quei momenti di paura e pericolo sono le cose tranquille e note del vivere quotidiano: i piselli da maturare, la brillantina che scarseggia, i francobolli che non si trovano. E poi l’amore, certo, per la donna rimasta a casa, con la quale non si vorrebbe mai interrompere il colloquio quotidiano. Non si troveranno invece qui accenti eroici, dichiarazioni nobili, parole che suscitino commozione e ammirazione. Si troverà invece eroismo quotidiano, volontà di sopravvivenza, ostinazione a rimettere tutto a posto come prima, che costituisce l’essenza stessa e la grandezza del paese reale.
LETTERE D'AMORE DAL FRONTE
... io non sono mica tristo...
a cura di CARLA CENCINI
Antologia di scritti - pag. 104
prima edizione gennaio 2011
prezzo edizione elettronica € 0,00 prezzo edizione cartacea € 6,00
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